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Da No Country for Old Men a True Grit: morte e rinascita del western

Pubblicato il 4 marzo 2011 da Giovanna Branca


Da No Country for Old Men a True Grit: morte e rinascita del western

Si finisce col principio, il Wild West Show di Buffalo Bill Cody. Lo spettacolo che metteva in scena le gesta dei cowboy contro gli indiani inaugurato alla fiera itinerante di Omaha nel 1883, e seme da cui sarebbe germogliato il filone cinematografico americano “per eccellenza”, il western. E’ nel Wild West Show che il “vero” cowboy Reuben Cogburn, protagonista di True Grit interpretato da Jeff Bridges, passa gli ultimi anni della sua vita. Ma l’inizio – quello del western – coincide anche con una fine: quella dell’espansione ad Ovest. E’ del 1890 la chiusura della frontiera storica, quella linea immaginaria oltre la quale era possibile per i coloni crearsi una nuova vita e su cui fu possibile ipotizzare l’esistenza di un tipo di società diversa rispetto a quella regolata dalle leggi degli yankee dell’Est.

Non è forse un caso che True Grit, il secondo western dei fratelli Coen, si chiuda proprio sul baraccone itinerante del Wild West Show, luogo dell’incontro mancato tra l’eroina del film (ormai cresciuta rispetto ai tempi degli eventi narrati) e l’uomo che le salvò la vita e la aiutò nella ricerca del criminale che le aveva ucciso il padre, Tom Chaney (Josh Brolin).
Il film si chiude insomma su un’assenza, quella di Cogburn che è già morto nel momento in cui Mattie Ross lo raggiunge per rivederlo a distanza di 25 anni dagli eventi narrati (che si svolgono negli anni Settanta dell’ Ottocento).
La negazione di un incontro era alla base anche del primo western dei due fratelli americani, No Country for Old Men, in cui i tre protagonisti si cercavano e si sfuggivano a vicenda per tutto il corso del film per non incontrarsi mai.
Anche True Grit, in questo perfettamente fedele ai dettami del western più tradizionale, verte su una ricerca: quella appunto dell’assassino del padre di Mattie Ross, l’intrepida adolescente che ingaggia lo U.S. Marshall Cogburn per dare la caccia al malfattore dimenticato dalle pigre istituzioni. Ai due si unisce il Texas Ranger LaBoeuf (Matt Damon), e tutto il film consiste in una caccia all’uomo, in una attesa della vendetta che infine – a differenza che in No Country for Old Men – viene soddisfatta.
Un film di genere, come tutta la filmografia dei Coen, che sin dai tempi di Blood Simple hanno fondato il loro stile su un incrocio dei generi tradizionali che ha spesso come esito un sovvertimento dei principi che ne sono alla base.
Ma se in No Country for Old Men la contaminazione del western con il noir era evidente sin dall’opera letteraria di partenza di Cormac McCarthy, e si esplicava già a livello visivo nell’ambientazione a metà tra il deserto e la città, in True Grit il western ed esso soltanto è la matrice che dà vita alle ambientazioni, alle dinamiche della diegesi ed ai personaggi. Unica eccezione è quella della protagonista femminile, la volitiva Mattie Ross che mette in piedi la spedizione punitiva. Il western è infatti da sempre un genere tra i più maschilisti, in cui – come spiegava Christian Metz – la donna incarna “una tentazione di fissità sedentaria, di rinuncia all’estetismo delle cause perse e dei combattimenti polverosi”. Oppure può essere amata senza rischi solo se è di colore, straniera, una meticcia, un’avventuriera: “tutte donne destinate prima o poi a scomparire”. Mattie, lungi dal configurarsi come oggetto del desiderio per chicchessia, data la sua giovane età, non è neanche una outsider, anzi la sua provenienza sociale e le sue azioni ce la mostrano perfettamente calata in quel tipo di società. Eppure il suo desiderio di vendetta è il motore interno del film, il filo rosso della storia. E’ così già nel libro da cui il film è tratto (scritto da Charles Portis nel 1968), ma è un elemento che assume una valenza ulteriore alla luce della filmografia precedente dei due fratelli. Dalla Abbie di Blood Simple, passando per l’indimenticabile Marge di Fargo, fino alla Carla Jean di No Country for Old Men (unica a non piegarsi alla crudele logica del killer Anton Chigurh), le donne nei film dei Coen hanno spesso un ruolo che sfugge dalle maglie del genere.

True Grit è una storia di giustizia sommaria, di violenza e di eroi crudeli. E’ il Wild West visto con l’occhio disincantato di chi non si deve più raccontare la favola della nascita di una nazione democratica, giusta e civilizzatrice. Questo presupposto – si dirà – era già stato gettato dal western moderno, dagli antieroi di un regista come Peckinpah. Ma i Coen nel loro western precedente si erano spinti oltre, ritornando all’eroe alla John Ford che, secondo il filosofo francese Gilles Deleuze, era colui in grado di esercitare la propria volontà sull’ambiente circostante per modificarlo, per ristabilire l’ordine e perfezionarlo. Con la notevole differenza che le prerogative dell’eroe di John Ford venivano spostate sul crudele killer quasi alieno Anton Chigurh, nemesi ed erede dei Ringo Kid ed Ethan Edwards della tradizione. La conseguenza era una tabula rasa completa della favola della “città sulla collina”, di un mondo pericoloso e violento ma carico della promessa di un futuro più giusto. Il sogno romantico dei pionieri che partivano a creare una civiltà diversa e migliore era definitivamente infranto. E si infrangeva sulla messa in evidenza di una violenza atroce e disumana connaturata all’idea stessa di frontiera, in No Country for Old Men quella tra il Messico e gli Stati Uniti. In True Grit l’ambiguità della giustizia e l’intrinseca violenza del West sono già il presupposto di partenza: è un mondo iniquo e selvaggio quello in cui si compiono le gesta altrettanto ingiuste dei nostri eroi. Ma l’infinita nostalgia per un mondo migliore che non è in fondo mai esistito – da sempre il cuore del western di ogni epoca – è recuperata con la parziale redenzione dello U.S. Marshall interpretato da Jeff Bridges. La cavalcata finale – vetta inarrivabile di un talento visionario come quello dei Coen – in cui Cogburn rischia tutto per salvare la giovane Mattie, getta un velo di grazia redentrice sul cowboy impietoso dal grilletto facile, nemico giurato degli indiani, frutto perfetto di un mondo ingiusto come quello del Wild West. L’intensità della determinazione di Cogburn a salvare la protagonista è pari solo al sofferto percorso di redenzione del De Niro di The Mission, e finisce per recuperare un barlume dell’eroismo solitario e romantico dei protagonisti del western classico, i “vagabondi dell’infinito” del selvaggio West rivisitato dalla lente epicizzante del cinema.

Così, quando a venticinque anni di distanza Mattie torna a ringraziare il suo salvatore, confluito simbolicamente in quello spettacolo che era l’anticamera del western cinematografico, non poteva in fondo trovarlo: il tempo trascorso è quello dell’avvento definitivo dei valori dell’Est in quel mondo selvaggio che era stato consacrato al sogno. Ciò che resta non è più l’azione – l’incontro, il duello, un’altra avventura – resta solo il racconto. Quello del cinema, quello di Mattie Ross: “Il tempo non lascia scampo. Così termina la storia di come vendicai la morte di Frank Ross laggiù nella Nazione Choctaw quando la terra era tutta bianca di neve”.


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