Da Tony D’angelo a Carmine Amoroso: esordi (o quasi) interessanti

Sorprende favorevolmente l’esordio del piccolo Toni D’Angelo. Che è il figlio dell’ottimo Nino, Guagliuncello Peter pan di verace semplicità, eterna freschezza e intelligenza popolar napoletana. L’ex ragazzo della curva B ha la fortuna e la soddisfazione di partecipare al film di Tony, Una notte, girato quasi tutto al buio e fotografato con stile e sapienza, dentro una Napoli splendida e semi nuova per il cinema. Il film è un viaggio metropolitano che omaggia la città e la colora di atmosfere che ricordano Garrone. Il giovane d’Angelo è bravo a non abusare della possibilità e a non esagerare in niente. La sceneggiatura è semplice nella sua spazialità orizzontale e in tutte le reazioni chimiche che crea il suo scorrimento. Il film si apre e chiude con una certa delicatezza, fino a comprimersi in opera e a rimanere sul fondo della memoria come un esordio interessante e solido, indipendente e magro, adolescente con personalità e talento. E’ la storia di una borghesia napoletana né felice né bigotta, nè paradigmatica né stereotipata. Cinque amici si ritrovano a Napoli per il funerale di un ragazzo del gruppo scomparso prematuramente. E’ l’occasione per non fare nulla se non lasciarsi andare alla vita che verrà nell’attesa del giorno dopo. Quello dei funerali. Parte un road movie soft a bordo di un Taxi. In giro per strade di pietra, immondizia e luce di semafori e lampioni. Per locali, salite e discese a mare. Si parla quanto basta in questo film e i personaggi hanno un so che di veritiero. Sembrano incontri possibili e gente normale. Qualche volta si ride, ma poco, giusto per ricordarsi e fare ricordare, di essere napoletani. Anche questo è un film sul presente di Napoli. Al pari di Biutiful Cauntri e Vento di terra. Che città incredibile che è Napoli! D’Angelo mostra una delle sue facce meno note e ci sosprende senza tentare di sconvolgerci di venderci troppo spettacolo. E’ stato assistente di Abel Ferrara ma questo significa tutto e non significa niente. Noi ci prendiamo questa insolita faccia come ci prendiamo il film, che se non è un gioiellino poco ci manca. Poi c’è l’interessante Cover Boy di Carmine Amoroso. A favore del film gioca sicuramente un grande lavoro di fotografia: Paolo Ferrari ha utilizzato un digitale che sembra pellicola e questo, stavolta, sa davvero di rivoluzionario. E’ importante l’argomento del film e il generale modo in cui è trattato: la sceneggiatura, tutto sommato, salvo un paio di clamorosi svarioni, tiene bene botta alla sua dichiarazione di intenti. E molto bravo Luca Lionello, comparsante in The Passion di Gibson e protagonista, suo e nostro malgrado, nell’insopportabile esordio di Federico Zampagliene: Nero Bifamiliare. Stavolta Lionello pesca dalla realtà alcune sfumature davvero pregevoli e le cuce addosso al personaggio fino a farlo identificare con la somma dei suoi atteggiamenti. E’ una storia romana, di oggi, più delicata che caustica, equilibrata tra realismo e sentimentale. In Cover Boy si incrociano le vite delle povertà moderne più comuni al nostro quotidiano. Il precariato nostrano più estremo e la nuova povertà che arriva dai paesi est europei. Due creature cinematografiche di una certa sostanza rappresentano queste due categorie e si incontrano per strada, nel luogo simbolo di questa nuova modernità: l’antica Stazione Termini. Del presente c’è tanto e la povertà del film diventa stile, virtù. Peccato che, oltre alla follia dell’inseguimento a piedi tra piccolo borghesi e disgraziati, nel film ci siano estensioni narrative e colpi di scena che tolgono qualcosa all’opera in termini di compattezza e tono. Resta un film di contenuti ed emozioni, recitazione e saggia povertà di mezzi.

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