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Dalla sezione video

Pubblicato il 19 ottobre 2003 da Andrea di Mario


Dalla sezione video

Il racconto della speranza Nel commentare The Harvest of Hope (Il raccolto della speranza), il suo autore, l’eritreo Temesghen Zehaie Abraha, ha espresso tutta l’impossibilità a definire un video. Chiama il suo lavoro ora video musicale, ora documentario ambientale. Tutto questo in perfetta analogia con le pratiche discorsive comuni qui in Europa ma anche con una differenza da queste ultime non di poco conto: la necessità. E infatti Zehaie Abraha ha richiamato a questo proposito il connubio tra arte e scienza, di come questo nesso possa nuovamente essere reimpostato con efficacia, attraverso il cinema in particolar modo. Ma di quale scienza egli parla è presto detto. Lo afferma il suo titolo: la speranza, che è la vera necessità che informa il suo lavoro e anche quelli visti in questa rassegna video svoltasi presso il cinema Detour di Roma. In questo caso la speranza è un sovrappiù alle stesse immagini, che trasportata in ogni comunicazione vera, reale, tenta - prima di spiegare - di dire, di far sapere, di raccontare. Davvero. Storie e iniziative che possano diventare grandi, e far riabitare il continente. Così il lavoro di Temesghen Zehaie Abraha, che racconta di una piantagione sulla costa di Massaua dove l’irrigazione avviene con acqua salmastra, una tecnica sperimentata in Arizona per scopi assai meno urgenti. Le piante allofite sono perlopiù mangrovie, utili per limitare le carestie. Si vede come la piantagione abbia rinverdito tutta la fascia costiera arida e brulla. Se questa tecnica venisse estesa su larga scala il beneficio sarebbe enorme. Ecco un bell’esempio di utopia. Non un parto del linguaggio, il profilo di una città ideale o un falansterio, una metafisica, ma uno sbancamento di terra dove troneggia ancora un carro armato, ricordo della più grande battaglia di terra avvenuta in Eritrea, guerra ancora più vana perché rievocata muta dentro a uno scenario così vuoto e vasto da ridicolizzare uno scopo così terribile. Il carro verrà utilizzato sì, questa volta, per concimare il terreno con le sue rugginosità. E dopo lo sbancamento di nuovo mostrata la rinascita, la crescita delle piante sulla terra, come, nel mare, la pescicoltura con le imbarcazioni che vanno e vengono. Sembra un video musicale, è vero, perché la semplice verità di questa straordinaria rivoluzione agricola viene rappresentata con la massima semplificazione e poi più volte ripetuta con la tecnica di interpolare momenti successivi e precedenti. E’ un messaggio immediato e profondo che precede e allo stesso tempo supera tutte le implicazioni positive che vengono solo lasciate immaginare. Queste sono state le immagini di The Harvest of Hope, infinitamente più comunicativo perché seguito da un gentile ed emozionato resoconto fatto dal regista su di esso.

Ancora si ritrova necessità vera di comunicare dentro Lo sguardo altrove di Mohamed Zineddaine. Realizzato con la tecnica del found footage viene raccontata la stagione nera dell’emigrazione italiana, quella dell’inizio dello scorso secolo e l’ondata successiva degli anni ’50 in Sud America. La mdp si muove all’interno del materiale fotografico e filmato, reinventando geometrie che si associano a echi di ciminiere e campane da lavoro. Lo scopo è quello di universalizzare il tema e poi associarlo a quello dei tanti destini che ora toccano a cittadini africani. Nato come documentario, commissionato dalla Regione Emilia Romagna (materiali di repertorio della Cineteca di Bologna), di questa forma ricorda solo il parallelo didattico. In realtà il video impenna in una deriva assolutamente lirica, poetica, quando i due elementi riescono a fondersi andando oltre l’ideologia o il destino comune a italiani e africani: a essere tratteggiato è un personaggio unico, con la stessa sofferenza, con le stesse aspirazioni, con lo stesso riscatto che parte dall’essere riconosciuto come cosa o forza lavoro.

Il tema del riconoscimento individuale necessario per affermare quello di etnia, razza o religione e la comparazione con lo stesso sostrato italiano popolare che però ne è completamente dimentico è il tema di Lebess (Non c’è male) di Hedy Krissane. Lebess racconta la storia di un giovane tormentato dal suo doppio malvagio che lo istiga a comportarsi nel modo in cui i tunisini vengono solitamente riconosciuti dagli altri. Un piccolo film didattico ma ben fatto e premiato nello “Spazio Torino” al festival di Torino di quest’anno. Altrettanto didattica quanto gentile è la parabola di un aspirante cuoco sudafricano che vuole imparare a preparare il sushi in un raffinato ristorante giapponese di Johannesburg (Black Sushi, Dean Blumberg). Un gioco di rimandi: il protagonista è un ex detenuto che cerca di uscire dal suo gruppo razziale dove vengono organizzate rivolte violente mentre cerca di entrare in un’isola così chiusa e xenofoba come l’ambiente del ristorante jap.


The Harvest of Hope (Il raccolto della speranza) regia: Temesghen Zehaie Abraha,fotografia: Franco Sardella, Haile Berhane, montaggio: Ermias G/Sllasie musica: Papa Wemba, Loren Glen, Andrea Bocelli, Yewane G/Michael, Ravi Shankar & Philip Glas, Pharoah Sanders, Dahab Faitinga, produzione: Eritrean Video Service origine: Eritrea, 2003, distribuzione: Eritrean Video Service, Franco Sardella, formato: video, colore durata: 20’

Lo sguardo altrove regia: Mohamed Zineddaine, sceneggiatura: Mohamed Zineddaine, fotografia: Roberto Legnani suono : Silvio Piersanti, montaggio: Mohamed Zineddaine, musica: Silvio Piersanti produzione: Oued-Zem Ciné, Regione Emilia Romagna origine: Italia, 2002, distribuzione: Oued-Zem Ciné formato: video, durata: 13’


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