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Death race

Pubblicato il 5 dicembre 2008 da Sergio Sozzo


Death race

Ecco com’è la vita qui. Dunque quando voi sentite il tremore nell’aria dovete stare molto attenti. Qui noi viviamo come ubriachi e non si sa mai cosa può capitarvi. E non attraversate tanto la strada, mi raccomando. Perchè da queste parti tutti rispettano solo le macchine, e hanno solo pensieri di macchine. E ritengono che, se qualcosa non è una macchina, quella sia una bassezza della vita. - Gianni Celati

Death Race è un’ode a Roger Corman. Meglio: Death Race è un film di Roger Corman.

E il prode Paul W.S. Anderson (Resident Evil, Alien Vs. Predator), che ha scritto e diretto questo remake del cult Death Race 2000 del Maestro Paul Bartel, che fine fa allora? C’è una sequenza in cui al perfido direttore del carcere viene recapitato un pacco-bomba, impacchettato in una classica confezione-regalo come fosse un dono della ACME Corp nei cartoni dei Looney Tunes – Joan Allen, la spietata dittatrice del penitenziario, lo scarta e salta in aria (ok, spoiler alert – ma credevate davvero che la Allen non morisse nel finale?). Ecco: Paul W.S. Anderson è la persona che ha realizzato la confezione, il pacchetto, la decorazione, forse anche il fiocchetto in testa: ma l’ordigno esplosivo che c’è dentro al regalo, beh quello è senza ombra di dubbio opera e merito della mente eversiva e terroristica di Roger Corman, che il film lo presenta e produce.

Tanto più che il personaggio autore dell’attentato è l’attempato meccanico dell’officina di galeotti, detto da tutti il Coach (Ian McShane), che ha ottenuto la libertà condizionata ma preferisce restare internato a progettare le macchine dei vari Frankenstein, piloti mascherati eroi della Death Race – e quando preme il pulsante dell’esplosione, Coach guarda in camera e dice “oh, quanto mi piace!” (come Snake Plissken che spegne il mondo – numerosi volendo sono i richiami anche all’opera di John Carpenter, dal killer mascherato al ponte che porta alla libertà all’isola-carcere a Statham che era in Fantasmi Da Marte...). Questo alter-ego di Corman che assembla i motori che altri guideranno è solo la firma più esplicita di un’opera sorprendente (con Driven, Cars e Speed Racer quasi un manifesto programmatico tra i copertoni e l’asfalto) che recupera da quella gloriosa Hollywood combattente e militante uno spirito anarcoide e destabilizzatore che finalmente permette a un corpo spesso interessante (soprattutto nella serie dei Transporter) come quello di Jason Statham di assumere la stessa entità proletaria che i suoi modelli di partenza portavano come caratteristica principale – d’altra parte, Death Race 2000 fu uno dei primi ruoli di Sylvester Stallone, e Anderson recupera dal bellissimo carcerario di Sly Sorvegliato Speciale almeno l’idea dell’officina automobilistica nel penitenziario, che in quel film giocava un ruolo primario per l’identificazione ’operaia’ dell’eroe.

Ed ecco che Statham entra in scena uscendo da una fabbrica, e finendo in mezzo ad una manifestazione di suoi compagni operai repressa con violenza da poliziotti in assetto anti-sommossa – rinchiuso in carcere, si trasformerà in uno splendente angelo della morte, implacabile giustiziere mascherato da Frankenstein che usa queste corse clandestine su automobili armate e blindate lungo circuiti zeppi di trappole mortali per portare avanti la sua giustizia personale: e infatti si prende il piacere di uccidere con le proprie mani nude il capo della Supremazia Ariana che spadroneggiava nel penitenziario, alleandosi poi con il boss della compagine nera per avere la meglio contro i macchinari repressivi del regime, trovando la falla nel sistema e facendola esplodere per uscirne.

Quello spaventoso camion blindato e carico di agenti armati che sparano sulle altre auto durante la corsa, fin troppo simile ai reali mezzi corazzati delle forze dell’ordine che reprimono i cortei, viene gloriosamente sfasciato e ribaltato dall’alleanza tra l’operaio Statham e la Pantera Nera Machine Gun Joe – ed ecco che con un’unica sequenza Paul W.S. Anderson accartoccia e frantuma l’idea intera di cinema di un altro camion ribaltato che è capitato nelle sale non troppo tempo fa in un’altra storia di cavalieri della vendetta, ma che lì significava tutta una rete di implicazioni cerebrali e furbi giochetti strutturali tranne che la sua unica evidenza: ovvero gloria di lamiera che si contorce alzandosi dall’asfalto e ricadendo giù pesante, sconfitta ed annullata nel suo valore opprimente e totalitario.


CAST & CREDITS

(Death Race); Regia: Paul W.S. Anderson; sceneggiatura: Paul W.S. Anderson; fotografia: Scott Kevan; montaggio: Niven Howie; musica: Paul Haslinger; interpreti: Jason Statham (Jensen Ames), Ian MacShane (Coach), Joan Allen (Direttore Hennessey), Natalie Martinez (Elizabeth Case), Tyrese Gibson (Machine Gun Joe); produzione: Impact Pictures; distribuzione: UIP; origine: USA, 2008; durata: 89’


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