Defiance - I giorni del coraggio

Ancora un tuffo nel passato per il regista Edward Zwick. Il suo Defiance conferma per l’ennesima volta la duplice tendenza del cineasta americano a guardare la storia trascorsa da punti di vista differenti rispetto a quelli sinora utilizzati e con una distanza dall’oggetto tipica del suo modo di raccontare. Dopo i capitoli incentrati sulla guerra civile americana e sulla situazione in Sierra Leone, spetta ora al secondo conflitto mondiale finire sotto la lente d’ingrandimento del regista di Chicago; o meglio, solo ad un pezzo di quella storia, una parte sconosciuta e allo stesso tempo affascinante. Stiamo parlando dell’unica resistenza accertata di ebrei nei confronti dell’oppressione nazifascista. Una opposizione forte e coraggiosa condotta da un manipolo di bielorussi sfuggiti ai rastrellamenti dei nazisti e rifugiatisi per mesi e mesi nelle gelide foreste. L’evento, raccontato nel libro di Nechama Tec, ebbe per protagonisti i tre fratelli Bielski, veri leader di quella lenta opposizione partigiana e rappresentanti primi di un ebraismo per lo più sconosciuto che non si rassegna al proprio destino ma che, al contrario, reclama un carattere guerriero e combattivo. Essi riuscirono tra mille difficoltà a ricostruire dal niente una comunità, raccogliendo tutti i superstiti della persecuzione, tenendoli uniti e portandoli, dopo momenti di immensa tragicità, verso una inaspettata salvezza. Il nucleo contenutistico della trasposizione cinematografica odierna si fonda principalmente su questa inedita e sorprendente raffigurazione dell’ebreo eroico, anche se poi è doveroso sottolineare come attorno ad esso ruotino costantemente tutta una serie di microstorie interessanti che hanno come unico obiettivo quello di arricchire la consistenza dell’opera alternando ai momenti più apertamente drammatici, accenni di sentimentalismo, di passione, di fratellanza e solidarietà.
Come nei suoi film precedenti, Zwick fornisce il lato oscuro di una vicenda famosa; quello non ancora indagato, nascosto e quindi per questo percorribile. Il metodo di realizzazione, anche se più sobrio dei recenti L’ultimo samurai e Blood Diamond, è come al solito grandioso; nello stile di una Hollywood capace di impacchettare con il proprio tocco anche le opere, in previsione, più riflessive e drammatiche. Il racconto, sulla scia della weltanschaung zwickiana, persegue continuamente l’epica come nota dominante della propria struttura, fornendo, anche in questo caso, una chiave di lettura del tutto mitica della seconda guerra mondiale e della persecuzione ebraica. L’ispirazione originaria proviene direttamente dalla Bibbia e dal Vecchio Testamento, opere tanto complesse quanto affascinanti per intensità ed impatto drammatico che, volontariamente accostate dal regista alle faccende dell’olocausto, favoriscono la nascita, in seno all’opera, di una combinazione forse un po’ troppo ridondante. Le parabole antiche costituiscono le radici di un popolo ed i loro personaggi fondano i principi di una cultura vasta come quella ebraica. Consapevole di ciò, Zwick ripercorre quelle storie, le modella sui suoi personaggi e sul contesto indagato. Il connubio indissolubile tra storia passata e storia recente, tra le Sacre Scritture ed il libro di Tec, costituisce il segreto di un film profondamente mistico nelle intenzioni. Zwick ci dice chiaramente che lo spirito di un popolo è destinato a rinascere negli occhi di ogni suo figlio, il quale è chiamato a ricevere e talvolta a sopportare il peso di una eredità troppo più grande delle umane possibilità. I fratelli Bielski sono predestinati, sono i continuatori della popolazione ebraica, coloro che rivivono sulla propria pelle le sofferenze, le contraddizioni e le problematiche dei Padri. Loro sono destinati a salvare ancora una volta un popolo perché così è stato stabilito dalla ricorrenza storica ed in loro quindi si riversa la speranza della gente comune così come in passato si era riversata su Mosè e su gli altri Padri spirituali.
Quello che infastidisce maggiormente del film di Zwick è, però, una rappresentazione oltremodo idealizzata di questi personaggi. L’aura mitica che li circonda sorpassa brutalmente l’intimità e la drammaticità di una storia realmente accaduta e si avvicina di più ad una spettacolarizzazione stonata dell’evento. La storia dei tre fratelli è una storia che andava senza dubbio raccontata e, per questo motivo, va dato atto al regista di averla scoperta e pensata per immagini. Purtroppo però il filtro da lui utilizzato per la trasposizione non convince totalmente. Soprattutto non si adatta ad una storia molto più viscerale di quanto invece non appaia sullo schermo. Il cinema di Zwick così rischia ancora una volta di cadere vittima del compromesso tra l’intelligenza artistica dell’autore stesso e una certa accondiscendenza nei confronti dell’entertainment, verso il quale egli strizza l’occhio ripetutamente. Dopo Cruise e Di Caprio, “strumenti” passati di Zwick, ora tocca a Daniel Craig dare l’immagine di Hollywood che pensa il resto del mondo. La sua interpretazione nonostante sia ben calibrata e intensa, affossa ancora di più il film nei meandri del cinema di genere, favorendo così la nascita di un eroe modellato sulle esigenze dell’industria mainstream. Per il resto non si può dire che il film di Zwick sia un prodotto mal costruito. Tutt’altro. Il professionismo del cineasta americano non è in discussione, né tantomeno la compattezza di un’opera classica che alla resa dei conti risulta molto ben calibrata in ogni sua parte. È vero, il film non lascia spazio a momenti di riflessione o ad una narrazione intraprendente, ma è altrettanto vero e giusto ribadire come l’undicesimo film di Zwick non scada mai nella banalità (altro rischio preventivabile), e soprattutto non allenti mai la tensione di uno spettatore ammaliato dall’allettante decoupage fatto di storia, religione, sentimenti, spettacolarizzazione, azione e divismo. Una miscela che se da un lato svilisce il contenuto, dall’altro garantisce o quasi un filo diretto con il pubblico fidelizzato da non sottovalutare.
(Defiance) Regia: Edward Zwick; sceneggiatura: Clayton Frohman, Edward Zwick, tratta dal libro di Nechama Tec; fotografia: Eduardo Serra; montaggio: Steven Rosenblum; musiche: James Newton Howard; scenografia: Dan Weil, Véronique Melery; costumi: Jenny Beavan; interpreti: Daniel Craig (Tuvia Bielski), Liev Schreiber (Zus Bielski), Jamie Bell (Asael Bielski), Mia Wasikowska (Chaya), Alexa Davalos (Lilka); produzione: Grosvenor Park, Bedford Falls; distribuzione: Medusa Film; origine: USA; durata: 129’; web info: http://www.medusa.it/defiance/.
