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Deux Jours, une nuit

Pubblicato il 20 maggio 2014 da Giovanni Spagnoletti


Deux Jours, une nuit

Dardenne come sempre... un marchio di fabrica garantito come Ken Loach.

Scindere la forma, lenta e retorica, dalla sostanza, importante e delicata, in Deux Jours, une nuit di Jean-Pierre e Luc Dardenne non è impresa facile. Con una messa in scena volutamente ripetitiva e indolente, infatti, i due registi costruiscono una profonda riflessione su uno dei temi centrali della nostra società contemporanea: il lavoro.

Dalle prime pagine di tutti i quotidiani alle chiacchiere fra amici, la paura della disoccupazione, la difficoltà a trovare un impiego, la mortificazione del senso più profondo, del valore, di questo termine sono ormai, tristemente, onnipresenti nella nostra società. Il racconto di due giorni di vita di Sandra, il cui destino dipende dal voto dei suoi colleghi costretti a scegliere fra la sua permanenza in fabbrica e un bonus di 1000 euro, condensa, in un’ora e mezzo, molti di questi ragionamenti. Nel cammino della protagonista, pronta ad implorare, porta a porta, a ogni singolo collega un impegno a suo favore, si confronta la necessità, l’urgenza, il bisogno di lavorare con il valore, una volta fondamentale, della solidarietà. Lo spaccato che emerge è quello di una classe operaia (almeno un tempo si sarebbe definita così) spaccata in due, costretta dal sistema a scendere a compromessi anche con i più basilari valori. È infatti verso il sistema, incarnato dal presidente dell’azienda di Sandra, Mr. Dupont, che si lancia il j’accuse dei Dardenne. Un sistema freddo, spietato, cinico. Un sistema che mette i dipendenti l’uno contro l’altro, facendo emergere il lato peggiore del genere umano.

Non è dunque casuale la scelta di Jean-Pierre e Luc Dardenne di costruire la pellicola come una flemmatica e ripetitiva litania. La reiterazione della stessa sequenza, il questuare di Sandra di casa in casa, dovrebbe inchiodare alle proprie responsabilità gli spettatori, ognuno, in qualche modo parte del sistema. Una forma che dovrebbe impedire di voltare lo sguardo, di ritrarsi, di scegliere la strada più facile. Una forma che è anche, e soprattutto sostanza, ma che, in questo caso, non raggiunge forse l’obiettivo preposto. Troppi sono infatti i quattordici colleghi che la protagonista incontra, quattordici tentennamenti, quattordici accorate richieste di aiuto, quattordici situazioni praticamente identiche. Si finisce così quasi per non prestare attenzione, in un conto alla rovescia di cui si attende solo la fine.

Visto dunque come lente di ingrandimento di una società ormai sfaldata, egoista, in cui l’aiuto, la partecipazione, il sostegno reciproco finiscono per essere dei disvalori, Deux Jours, une nuit appare una pellicola importate e incisiva. Ma un film, qualunque sia la sua finalità morale, è e deve essere anche un’opera cinematografica. Per questo, la lentezza e l’estenuante ripetitività della scelta stilistica, gravano pesantemente sulla pellicola rendendola davvero di difficile visione.

Deux Jours, une nuit; regia, sceneggiatura: Jean-Pierre e Luc Dardenne ; fotografia: Alain Marcoen; montaggio: Marie-Hélène Dozo; interpreti: Marion Cotillard, Fabrizio Rongione; origine: Belgio, Francia, Italia , 2014; durata: 95’


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