Die Hard - Un buon giorno per morire

Nel 2007, anno di uscita di Die Hard – Vivere o morire (Live Free or Die Hard), avevamo ipotizzato la fine della fortunata serie che vede protagonista l’ironico e burbero detective John Mclane, uno dei personaggi più famosi del cinema action statunitense. Ma ci sbagliavamo. I quasi 400 milioni di dollari rastrellati dal film in tutto il mondo, nonostante fosse il prodotto meno riuscito della saga, hanno spinto verso un quinto capitolo. Ecco quindi nelle sale Die Hard – Un buon giorno per morire (A Good Day for Die Hard), che mette da parte il terrorismo informatico del precedente episodio e sposta le azioni del detective newyorkese a Mosca, dove è ufficialmente in vacanza ma dove è in realtà giunto per aiutare il figlio, arrestato e pronto ad essere processato.
Non siamo ai livelli di Trappola di cristallo né di Die Hard – Duri a morire, ma ci si diverte. E anche molto. L’azione procede senza sosta, dal prologo fino all’entusiasmante finale. L’inseguimento automobilistico nella capitale russa, per dinamismo, vivacità, catastrofismo, inventiva, tecnica supera anche le corse frenetiche per le strade di New York di Willis e Samuel L. Jackson. Eppure qualcosa manca. Perché se è vero che John McClane in questo film gioca con John McClane, rendendo il detective “distruggi-grattacieli-aeroporti-città” un metapersonaggio a tutti gli effetti che enfatizza e sottolinea i suoi comportamenti e tormentoni, al contempo si avverte l’assenza di una sceneggiatura che sappia dare la stessa attenzione all’azione, ai personaggi e alla costruzione narrativa. Al contrario di quanto si poteva riscontrare nei primi tre capitoli della serie, qui non troviamo la tridimensionalità dei personaggi, l’aspetto “umano” del detective – elemento che negli anni ’80 lo allontanava dagli altri personaggi del cinema d’azione, da Rambo a Danko, da Cobra a Commando, per intenderci – dà il via alla narrazione e poi sparisce, e in ultimo l’autoironia del protagonista, che in questo caso segue un po’ la scia della tendenza revival di questi ultimi tempi (lanciata da I mercenari e seguita – tanto per fare due titoli - da Bullet to the Head e The Last Stand), sforna per tutto il film quasi sempre le stesse battute senza offrire nulla di esaltante.
Die Hard – Un buon giorno per morire, grazie alla regia scoppiettante di John Moore, crea tensione, appassiona, tiene, offre un’ora e mezza di grande spettacolo. Ma poteva e doveva essere qualcosa di più. Poteva essere l’occasione, dato che la natura del personaggio lo consentiva, per mettere John McClane di fronte allo specchio, per porre l’eroe di fronte al mito, al SUO mito, per far sì che il cinema di genere potesse non solo omaggiare il suo glorioso passato ma anche riflettere su stesso.
Questa volta però non diamo per scontato che la serie sia finita. Per cui forse l’occasione tornerà. Yippee ki-ay, John McClane.
(A Good Day for Die Hard); Regia: John Moore; sceneggiatura: Skip Woods; fotografia: Jonathan Sela; montaggio: Dan Zimmerman; musiche: Marco Beltrami; interpreti: Bruce Willis, Jay Courtney, Cole Hauser, Sebastian Koch; produzione: 20th Century Fox; distribuzione: 20th Century Fox Italia; origine: USA, 2013; durata: 97’.
