Diol Kadd - Roma 2010 - Extra

Diol Kadd è un paesino sperduto in mezzo alla savana senegalese.
Non c’è acqua corrente, la luce elettrica è impensabile e il gas non è di casa.
A Diol Kadd i paraventi sono chiamati paravergogne e stanno in mezzo ai cortili che le donne si ostinano a spazzare ad ogni momento, tenendo fuori, con la sabbia, anche ogni impressione di miseria. Nel paese non c’è ricchezza, ma anche la povertà ha una sua dignità che consiste nel restare attaccati alla terra, al passato ed alle tradizioni con la piana certezza di una saggezza antica.
Il mondo di Diol Kadd è contadino e somiglia un poco, a quelle nostre campagne italiane di tanti anni fa fatte di nonni contadini a capo di famiglie che parlavano con la terra e le colture.
Lo sguardo dell’occidentale, sempre a caccia di storie un poco esotiche, si sorprende, ma non troppo di certe somiglianze tra il noi di un tempo e il loro di oggi così pericolosamente ad un passo dall’estinzione. Così, registrando ogni cosa con discrete videocamere, l’occhio degli italiani si sorprende a riflettersi nello sguardo dei bambini che si affollano davanti alla macchina da presa: strano portento di cui non riescono a capire per davvero il funzionamento.
A Diol Kadd il tempo passa in modo diverso, scorre secondo una logica diversa che non vive dell’accumulo di minuti frenetici, ma riposa nella ripetizione di abitudini discrete, affidate al trascolorare del giorno nella notte e di una stagione nell’altra. A cambiare è soprattutto il rapporto dell’individuo col tempo: finalizzato al guadagno per l’uomo occidentale, orientato verso la sopravvivenza pulita e decorosa nel villaggio del Senegal.
Diol Kadd, oltre ad essere un paesino al centro di un progetto umanitario che vede uniti l’Italia e il Senegal per cercare di garantire sopravvivenza a paesini che man mano scompaiono, è anche il luogo di nascita dell’attore ed autore teatrale Mandiaye N’Diaye che di questo progetto è parte integrante visto che la sopravvivenza è prima di tutto culturale. Il sogno di quest’uomo è la messa in scena (ovviamente in lingua wolof che è quella parlata dagli abitanti di Diol Kadd) di una commedia aristofanesca sul “gioco della povertà e della ricchezza”. In essa un cieco, spirito della divinità della pioggia, viene rincorso da un giovane contadino e dal suo servo, mentre intorno il mondo cambia con la tecnologia che avanza e tutto ingloba. Così il racconto comincia a segnare la contrapposizione tra il mondo contadino che guarda ancora indietro e il mondo della Nuova politica che, nella ricerca di ricchezza, lascia il primo indietro, abbandonato all’indigenza.
Mandiaye N’Diaye trova in Gianni Celati un alleato prezioso che lo aiuta nelle prove dello spettacolo e, nel frattempo, con la sua troupe cinematografica, si lascia sedurre dalle bellezze del mondo senegalese.
Celati lascia alle videocamere il compito di registrare, per sé si ritaglia il cantuccio della riflessione, della poesia, del racconto. L’immagine rincorre l’utopia di filmare tutto perché tutto appare bello all’occhio occidentale. La voce, dalla sua parte, riconduce l’immagine a discorso, sforbicia l’immenso documentario di mille ore, riportandolo ad un racconto e ad un pensiero.
Celati non ha lo sguardo di chi cerca esotismi facili. Non guarda al mondo arcaico con la filosofia del buon selvaggio. Le immagini le scava con spirito pasoliniano. Del resto nel mondo arcaico trova echi di Aristofane, ma anche nell’Edipo re con quel cieco che deve portare pioggia a fecondare le terre dei contadini. Ma Celati non sta costruendo un’orestiade. Quando film non pensa mai a quell’Italia cui deve far ritorno.
Nelle sue immagini c’è, semmai, un senso di serena, profonda empatia.
(Diol Kadd. Vita, diari e riprese in un villaggio del Senegal); Regia e sceneggiatura: Gianni Celati; fotografia: Lamberto Borsetti, Paolo Muran; montaggio: Lamberto Borsetti; produzione: Pierrot e la Rosa (Italia) Paofilm (Italia); distribuzione: Vitagraph (Italia); origine: Italia, 2010; durata: 90’
