DOGMA

Tenuto in purgatorio per quattro anni, arriva nelle sale la controversa opera di Kevin Smith, l’autore di Clerks, Dogma.
Alla sua uscita statunitense il film si era procurato l’accusa di blasfemia oltre ad aver innescato una serie di rimostranze da parte di vari gruppi cattolici americani, che vedevano nell’opera cenni irriguardosi verso la religione cristiana.
Depurando il giudizio da ogni estremismo fanatico, come è facile trovare in quel paese, possiamo dire che questo film è davvero sconcertante per la superficialità con la quale vorrebbe ironizzare sulla fede e sulla cecità che essa richiederebbe.
Kevin Smith è un ragazzo sveglio, cresciuto a Tv, fumetti e televisione, ma che non è in grado di affrontare un argomento così serio, e non serioso, come la religione ed il suo rapporto, incerto e contraddittorio, con i fedeli.
Satireggiare con una Chiesa dogmatica e chiusa va bene, sbeffeggiare ogni sorte di estremismo fanatico, d’accordo, prendere di mira la incoerenza di una certa parte del Clero, soprattutto quello americano, di recente provato dallo scandalo pedofilia, sarebbe un intento interessante.
Offendere gratuitamente simboli religiosi no, non si può farlo come se si offendesse una figurina o un personaggio dei fumetti. Stupido ed irriguardoso, ad esempio, far dire ad il vescovo promotore del ‘Cattolicesimo Wow’ che il crocifisso è lugubre e triste, “per questo sostituiamolo con il Cristo compagnone”, che fa l’occhiolino con il pollice alzato. Smith non ne ha né la cultura, né la sensibilità, né la preparazione e né, pensiamo, una vera urgenza spirituale.
I dubbi che i personaggi esprimono sono di una impalpabile consistenza, niente che vada oltre al “perché non sei qui, dammi un segno”, riflessioni e-scatologiche di un boy-scout messe in bocca ad una schiera di protagonisti paradossali ed irritanti.
Ed ecco la discendente di Cristo (Bethany, Linda Fiorentino) essere una donna sterile che lavora in una clinica per aborti e con la fede scricchiolante; ecco il tredicesimo apostolo nero cancellato dai Vangeli per il colore della sue pelle; ecco un demonio belloccio, vestito di bianco con le corna retrattili; ecco una trama che definire assurda e pretestuosa è dir poco.
Due angeli rinnegati ed irascibili, e condannati a vagare nel Wisconsin, interpretati da Affleck e Damon, scoprono che c’è un modo per tornare in Paradiso, approfittare del giorno di indulgenza plenaria che verrà data a chiunque attraversi il portone di una cattedrale nel New Jersey, in occasione del centenario della stessa. Così facendo, però, i due contraddirebbero i voleri di Dio distruggendo l’intera umanità.
Per fermarli l’angelo portavoce del Creatore Metatron appare a Bethany convincendola ad intraprendere il viaggio in compagnia di due strambi profeti, gli arcinoti Jay e Silent Bob (lo stesso Smith), spacciatori e patiti di film adolescenziali, ai quali si unirà Rufus, il 13° apostolo nero (“Sapevate che Gesù era nero? No perché un nero ti può rubare lo stereo, ma non può essere il tuo Salvatore”).
Nel tragitto che li porterà allo scontro finale incontreranno strani esseri come il “golgotiano demone di merda”, nel vero senso della parola, una Musa diventata umana, ed un Dio donna (Alanis Morrisette).
Questo film è lo specchio della stupida superficialità in cui viviamo, in cui chiunque può lanciarsi, come se fosse uno Scorsese, un Pasolini, un Bunuel, un Bergman, un Dreyer, in una critica, come questa sterile e gratuita, alla religione.
D’accordo che non ci sono più argomenti alti e bassi, e tutto è centrifugato nel frullatore della volgarizzazione paratelevisiva, ma “ogni limite ha una pazienza”, come diceva Totò.
Chi è bravo a fare il fumettaro, senza accezioni dispregiative, faccia quello, non si avventuri in campi a lui impossibili da frequentare, almeno se non fai parte dei Monty Python.
Persino Mel Brooks, che ha parodiato anche se stesso ed era di gran lunga più intelligente, di fronte ad alcuni argomenti si è fermato.
Molti, in risposta alle stroncature d’oltreoceano, hanno definito questo film ilare, scherzoso ed intelligente, solo per volersi scrollare una patente di bigottismo e di ristrettezze di vedute, come se bastasse l’argomento trattato per definirne la sensibilità e il modo in cui è reso in immagini: critichi la religione, allora devi essere bravo e sagace.
Grave errore perché alla stupidità non si pone freno accettando supini questi prodotti da supermercato dell’immaginario. Smith è bravo e divertente quando cita L’uomo da sei milioni di dollari, Karate Kid, i film adolescenziali di John Hughes, ma quando si produce in simili esegesi da quattro soldi è da condannare.
L’unica cosa che si salva del film, nel quale un montaggio frettoloso ne modifica spesso la cronologia, sono i duetti tra Jay e Silent Bob, irriguardosi, logorroici, divertenti, proprio perché parlano degli argomenti più cari al regista, visto che ricorrono in ogni suo film, come il sesso, la droga ed i film porno, che confermano quanto Smith sia capace di scrivere testi divertenti sì, ma che non hanno più dignità di un copione da cabaret.
Nessuno scandalo, quindi, ma solo irritante stupidità.
regia: Kevin Smith sceneggiatura: Kevin Smith fotografia: Robert D. Yeoman montaggio: Kevin Smith, Scott Mosier musica: Howard Shore interpreti: Ben Afleck, Matt Damon, Linda Fiorentino, Alan Rickman, Chris Rock produzione: Kevin Smith, Scott Mosier origine: USA durata: 2h’ distribuzione: Eagle Pictures web info: sito ufficiale
