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Domani

Pubblicato il 11 ottobre 2016 da Matteo Galli


Domani

Potrebbe sembrare un’eresia ma a noi Domani di Mélanie Laurent e di Cyril Dion, pubblicato nel 2015 in Francia, premiato con un César come migliore documentario, dove, caso rarissimo per un film del genere, è stato anche un grande successo al botteghino, e adesso distribuito in Italia grazie a Lucky Red, ha ricordato molto da vicino Where To Invade Next di Michael Moore. In quel documentario, lo si ricorderà, Moore girava per l’Europa in cerca di esempi da seguire e da “importare” negli Usa - le mense scolastiche francesi, le carceri norvegesi, l’uguaglianza fra uomo e donna in Islanda, i tempi lavoro/svago in Italia etc – lasciandosi andare a una semplificazione a tratti imbarazzante; qui il gruppo di cineasti coordinato dai due registi, parte da una premessa non completamente dissimile, il mondo va cambiato, e subito, prima che sia troppo tardi, e si mette anch’esso a fare il giro del mondo alla ricerca di casi esemplari da seguire nei cinque fronti su cui sceglie di concentrarsi: agricoltura, energia, economia, democrazia ed educazione. Un giro del mondo, a dire il vero, che stante il nobile afflato ecologista non può non far sorgere dei - diciamo così -meta-interrogativi in merito a quello che in gergo si chiama “footprint”, cioè l’impatto ambientale originato dai continui spostamenti di tutta la troupe. Il film diventa così una raccolta di exempla, o se vogliamo di oasi utopistiche, anche se chiamarle così, significa già mettere in discussione la potenziale efficacia del documentario. Del resto, nel senso etimologico del termini i casi trascelti non sono u-topici, ma sono invece radicati in precisi contesti locali, alcuni molto piccoli e per questa ragione più facilmente realizzabili e gestibili, ma in altri casi – gli orti urbani di Denver, l’energia eco-solidale della città di Copenhagen, la sterlina local di Bristol – risultano lodevoli esempi di gestione di meccanismi complessi, certamente degni di essere emulati.

Il vero missing link di questo film è tuttavia la politica. Ovvero: ci sono politici che sostengono le iniziative volte a produrre un completo e rapido cambio di paradigma, ma nella stragrande maggioranza dei casi è proprio nella politica locale e soprattutto nazionale che si arenano gli originali propositi ideati da semplici cittadini o da ricercatori che spesso abbandonano le istituzioni tradizionali (università, centri di ricerca) per realizzare le proprie idee innovative in un contesto locale e periferico. Si accenna, è vero, qua e là al fatto che la politica si lascia dettare l’agenda dall’economia, ma la politica, categoria iperonima di tutti e cinque i settori indagati da Domani è praticamente assente. Disturba un po’ nel film una certa ingenuità entusiasta che in un mondo complesso come il nostro si fa fatica ad accettare; e non convince nemmeno una sostanziale prevedibilità: che i paesi scandinavi dalla Danimarca, alla Finlandia, all’Islanda siano all’avanguardia in quasi tutti i “capitoli” indagati è risaputo, o no? Ma il limite maggiore del film è un altro. Domani è il classico caso riconducibile all’espressione inglese “to preach for the converted”, predicare ai convertiti. Chi va a vedere questo film è immaginabile che abbia già un alto grado di consapevolezza circa la necessità di modificare in prima persona alcuni comportamenti commendevoli affinché, secondo un virtuoso effetto domino, l’umanità inverta in tutta fretta il trend che la sta portando all’autodistruzione. Il cittadino che non fa la raccolta differenziata, che usa l’automobile per attraversare la strada, che si nutre soltanto di junkie food, non va a vedere Domani.

Anche sul piano linguistico il film - troppo lungo! - è piuttosto ingenuo: tante tantissime interviste con tante tantissime didascalie e tanti tantissimi dati, numeri, statistiche, interrotto qua e là a effetti di straniamento: la troupe dei neofiti, con cineprese e microfoni, che riprende gli intervistati per movimentare una certa qual ripetitività formale.


FOTOGALLERY


CAST & CREDITS

(Demain); Regia: Mélanie Laurent, Cyril Dion sceneggiatura: Cyril Dion; fotografiaAlexandre Léglise: Terry Stacey; montaggio: Sandie Bompar; interpreti: Mélanie Laurent, Cyril Dion; produzioneMove Movie, France 2 Cinéma, Mars Films; origine: Francia, 2015; durata: 118’.


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