Don Chisciotte e l’informazione

Come ha recentemente scritto Aldo Fittante su Film Tv, non difendiamo la categoria, ma ci pare comunque importante partecipare alla discussione nata dal secondo V-day di Beppe Grillo. E’ importante perché, in qualsiasi paese moderno e democratico, l’informazione è una questione vitale e proprio per questo non può essere liquidata con facili slogan o arringhe populiste.
Che la situazione dell’informazione italiana non sia idilliaca è cosa palese, così come è evidente lo spreco di denaro che circonda questo settore (la razionalizzazione della spesa pubblica è argomento che va ben oltre il campo dell’informazione, è che, probabilmente, necessita di più di una semplice semplificazione), ma le cause di questa condizione non ci sembrano certo imputabili alle problematiche sollevate dal comico genovese. Per capire analiticamente partiamo proprio dalle sue affermazioni, urlate alla folla, il 25 Aprile a Torino:
“Vorrei un giornale pagato da chi lo legge e non dai finanziamenti pubblici” (Beppe Grillo)
“Non può esistere un ordine. Chiunque deve essere libero di scrivere” (Beppe Grillo)
A sentire l’arringa di Grillo l’informazione italiana è imprigionata da due terribili palle ai piedi: l’Ordine dei Giornalisti e i finanziamenti pubblici. Viviamo in un paese antiliberista, statalista e succube del potere, in cui il libero mercato è un’utopia e la concorrenza disturbata dai continui aiuti pubblici. E questo non per i 300.000.000 di euro pronti per il buco nero dell’Alitalia ma per i fondi pubblici ai giornali. Loro si che dovrebbero cavarsela da soli, nella giungla del mercato. Chi ha un editore privato che lo sorregga sopravviva, gli altri chiudano pure i battenti.
Non siamo statalisti, nè tanto meno antiliberali, ma le fondamenta su cui si fonda uno stato civile non possono essere barattate in nessun sistema di mercato. Anzi, in Italia più che mai, necessitiamo di un’informazione che sia il più aperta e policroma possibile. Purtroppo per noi, viviamo in un paese in cui la carta stampata conta pochissimi lettori, tanto da essere agli ultimi posti in Europa in questa specifica graduatoria, e questo trasforma in necessità i famosi “aiuti di Stato”. Senza questi finanziamenti molte testate, anche importanti, chiuderebbero. Molte voci sarebbero costrette a tacere. Sarebbe un’imperdonabile errore, una scelta cieca, quella di sacrificarle in nome del risparmio. Come ricorda Pietro Calabrese sul supplemento del corriere della sera, “Sono gli editori a condizionare la linea dei giornali”. Provate dunque a pensare cosa accadrebbe se le molte testate che sopravvivono grazie ai finanziamenti fossero costrette a chiudere, mantenendo, sul feticcio di un mercato a quel punto quasi monopolista, solo uno o due giornali. Leggendo fra le righe di ciò che scrive Calabrese ogni fonte d’informazione è, di per se, soggettiva, ed è dunque la pluralità di fonti a garantire una corretta diffusione delle notizie. Sono passati solo pochi anni dalle polemiche, giustificate, per “l’editto bulgaro” che estromise Biagi, Santoro e Luttazzi dalla RAI, eppure ora, che la cosa appare meno comoda, quella vicenda sembra dimenticata. Quella non fu una battaglia di sinistra per mantenere il monopolio dell’informazione (che, per altro, la sinistra non ha mai avuto) ma una lotta per difendere la pluralità di voci nelle emittenti pubbliche. Cancellare i finanziamenti equivarrebbe a imbavagliare dieci, cento Biagi, Santoro e Luttazzi.
Certo, Grillo ci risponderà che la carta stampata è un mezzo obsoleto, che la rete (da lui in passato denigrata) rappresenta il futuro, che lì le fonti sono praticamente infinite e manifestano tutti i colori e le posizioni possibili. Ed è qui, che aggiungerà, fra una battuta e l’altra, il suo attacco all’Ordine dei Giornalisti al grido di, Siamo tutti giornalisti on the net.
Ma siamo poi davvero tutti giornalisti, nella rete? Se c’è un merito, in un’istituzione per altri versi obiettivamente obsoleta come l’Ordine dei giornalisti, è proprio quello di obbligare i suoi iscritti ad un codice di comportamento, ad una deontologia. Regole che proteggono dalla diffamazione, dalla divulgazione di false notizie, che costringono a controllare le proprie fonti e verificare le proprie informazioni. Nessuno garantisce che questo accada anche on line. Non è un caso che sostanzialmente in tutte le università internet, di per sé, non rappresenti una fonte valida. E questo non si imputi alla mentalità retrograda della casta dei professori italiani. Pochi mesi fa sul New York Times, testata non certo accusabile della stessa linea antiprogressista, era riportato un fondo che metteva in dubbio la stessa efficienza di Wikipedia, la più importante enciclopedia on line. L’enorme mole di informazioni quotidianamente riversata nel database non consentirebbe infatti allo staff del sito di controllare la veridicità e l’esattezza di tutte le nozioni. Se un quotidiano come il New York Times pone dei dubbi su la più grande enciclopedia della rete, che garanzie si possono avere sul groviglio di siti, blog, forum che la popolano? Nessuna. Chiamatela gilda, sindacato, associazione o ordine sarà comunque necessario che uno o più enti si pongano il compito di raccogliere in sé i giornalisti e obblighino questi al rispetto deontologico. E’ evidente coma la natura magmatica della rete, la sua innata predisposizione all’assenza di barriere e confini, richiederà uno sforzo supplementare ma codificare un sistema che regoli anche questo medium appare oggi una necessità. Un codice che però, come la natura stessa di internet, non sia frutto di regionalismi o nazionalismi, ma un’opera di respiro globale. Un codice che distingua ciò che è informazione da ciò che non lo è.
“Basta con le cose del passato, se vogliamo un paese giovane e dinamico dobbiamo dire basta” (Beppe Grillo)
Caro Grillo, per essere davvero un paese moderno, giovane e dinamico si deve guardare alla realtà dei fatti senza populismi, riconoscerne i problemi e proporre delle soluzioni; distinguere fra razionalizzare i finanziamenti pubblici ed eliminarli, fra riformare l’ordine dei giornalisti e cancellarlo. Questo significa progresso, essere “pro”. L’anti-politica, l’anti-casta, l’anti-potere è invece la prima forma di conservatorismo. Ad esser sempre “anti” si corre il pericolo di lottare come Don Chisciotte contro i mulini a vento mentre i veri obiettivi si beano del fresco procurato dalla nostra stessa brezza.
Giampiero Francesca

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