Dongfang: Corea del Sud sullo schermo

Napoli ha ospitato la terza edizione del Dongfang, rassegna dedicata al cinema ed alla cultura visiva orientale, allestita presso Castel Sant’Elmo dal 25 al 28 ottobre. Dopo l’appuntamento dello scorso anno che ha avvicinato la città partenopea alle sponde nipponiche, il festival ha attirato appassionati, studiosi e curiosi dell’universo coreano. Ospite speciale Bong Joon-ho che, dopo i successi di botteghino e l’incetta di premi internazionali con l’horror the Host, viene indicato quale astro nascente del moderno cinema coreano. E l’intera filmografia di Joon-ho è stata protagonista delle proiezioni nell’auditorium di Sant’Elmo, insieme con altre numerose opere di registi provenienti dalla nazione orientale. Fra essi presente anche Jeon Soo-il autore di With the girl of black soil, film di impegno sociale reduce dalla selezione alla 64a edizione della Mostra di Venezia. La manifestazione è stata inaugurata da un evento speciale la sera del 25, con la performance visivo-sonora del pianista Danilo Rea e della disegnatrice Song-hee Choeng, che hanno duettato al cospetto di una platea entusiasta. Lo sguardo verso Oriente si è rivolto anche a Cina e Giappone, presenti con due selezioni di corti e videoarte proiettati in flusso continuo durante le quattro giornate. Accanto al patrocinio degli enti locali, prezioso il contributo nell’organizzazione dell’evento del Comicon, il salone internazionale del fumetto, che ha ospitato il Dongfang presso la sede al castello napoletano e che ha curato una rassegna di cortometraggi coreani d’animazione.
Nell’immaginario comune si pensa alla cinematografia dell’estremo oriente come ad un ambiente aperto esclusivamente ai cinefili o agli esperti. Pochi sanno invece quanto sia “occidentale” la produzione mediale moderna che viene, ad esempio, dalla Corea del Sud, nazione scelta quest’anno come luogo di esplorazione dal Dongfang.
Soggetta ad una vera e propria colonizzazione da parte delle aggressive industrie culturali di Hong Kong, Cina e Giappone, il paese al di sotto del 38° parallelo sta intraprendendo una via del tutto personale nel settore delle arti visive. Nuove produzioni nazionali e l’affermazione all’estero di quotati autori come Kim Ki-duk (L’arco, Ferro 3, Primavera, Estate…), Park Chan-wook (Simpathy for Mr. Vengeance, Old Boy) o Bae Yong-kyun (Perché Bodhi Dharma è partito dall’Oriente?), stanno rilanciando la cinematografia coreana, una tendenza ribadita nel corso degli incontri organizzati a Napoli. Durante gli appuntamenti collaterali alle visioni, gli ospiti Bong Joon-ho, Song-hee Choeng e Jeon Soo-il hanno illustrato la costante crescita cui stanno assistendo nel loro paese. La difficile situazione politica rende questo processo più lento e difficoltoso del dovuto ma la creazione di nuove scuole di cinema ed il consolidamento di gruppi di fumettisti stanno imprimendo una svolta epocale in questo ambiente creativo.
La selezione delle opere in proiezione ha mostrato un cinema giovane, pronto a sondare numerose tematiche che si snodano per lo più nel tessuto della complessità urbana. La violenza della delinquenza, la povertà, ma anche gli amori e le amicizie che resistono nonostante tutto. La lezione dei generi cinematografici ha attecchito in maniera radicale in queste pellicole che “giocano” con le infinite ibridazioni e permutazioni di caratteri. Sebbene non in cartellone, il frenetico Old Boy, con il suo variegato salto dal thriller alla commedia, dall’action al melo’, potrebbe rappresentare bene la tendenza emersa nei lavori scelti per il Dongfang. Il cinema di genere che viene da Hong Kong e le creature della debordante filmografia americana hanno lasciato il segno anche qui. La maturità degli autori si è mostrata forte nel talento visivo di alcune soluzioni, nella cura dell’immagine e del montaggio, a volte a scapito del ritmo di avanzamento della storia. Otto i film in programma. Fra questi A Great Actor, Crying Fist, Friend o With the girl of black soil, si cimentano con scenari diversi, ma li accomuna la cura dei dettagli del fotogramma accanto ad una certa lentezza dell’intreccio.
Discorso simile per la filmografia di Bong Joon-ho, il cui successo sullo scenario internazionale con Memories of murder o il recente the Host testimoniano quanto le pellicole della Corea siano pronte ad essere apprezzate ben oltre i confini nazionali.
GLI OSPITI
La mattina del 26 ottobre, Joon-ho ha condiviso brevemente il suo metodo di regia, improntato più sull’immagine che sulla scrittura. Ha chiarito prima di tutto che a lui piace essere il centro motore assoluto di tutta la creazione del racconto filmico. Molta parte del suo lavoro la impiega infatti nel pianificare dettagliatamente le riprese tramite lo storyboard, così da poter dirigere ed ottimizzare le azioni di tutti i collaboratori. Per quanto riguarda la scrittura, ha confidato che un racconto o una scena nascono nella sua mente come se fossero già filmati e, nella realizzazione delle sue opere, altro non fa che cercare di avvicinarsi il più possibile a queste idee. Un accurato lavoro di preparazione prima di girare ed un’ottima intesa con la troupe lo aiutano a raggiungere i risultati che ha immaginato inizialmente. Le idee nascono per lo più da dettagli irrilevanti, da piccoli frammenti della realtà che gli suscitano una riflessione. Spesso poi i progetti che si sviluppano da questi “incidenti” perdono il legame con l’evento che li ha causati e prendono una propria direzione. Alla “rigidità” nella costruzione dell’immagine, Joon-ho oppone la libertà che lascia ai suoi attori, che spinge ai confini dell’improvvisazione nei dialoghi. Anche per questo, preferisce lavorare con interpreti di cui conosce l’affidabilità e con cui, possibilmente, abbia già avuto a che fare in passato. Non poteva mancare una domanda sul rapporto con le tecniche digitali sulle quali il regista si è detto contrario. Lavorare con il digitale è sicuramente più comodo ed economico - una modalità quindi preferita dai produttori - , ma la resa dell’immagine, la profondità del colore, la grana non sono paragonabili alla pellicola, ha ribadito. E’ una cosa che ha imparato a distinguere vedendo alcuni film proiettati al cinema con tecnica digitale. Sebbene nel girare alcuni corti abbia utilizzato macchine digitali, “per la sola imposizione della casa di produzione” ha precisato, la sua preferenza nei confronti dell’analogico resta netta e solida. Ad ogni modo, ha apprezzato l’espressività di Mann in Collateral mentre l’annuncio di Lynch di voler abbandonare il “dinosauro” della celluloide lo ha scioccato. Per chi ha auspicato una collaborazione fra le cinematografie italiana e coreana, Bong Joon-ho ha sottolineato quanto l’attuale assetto del mercato non sia molto favorevole allo scambio culturale. Infatti spesso in ogni paese esistono solo due tipi di film, i locali e quelli americani. La collaborazione fra Italia e Corea si è avuta già in passato sul piano lavorativo, ma ancora molto c’è da fare per far incontrare e arricchire vicendevolmente le esperienze dei due paesi. A margine dell’incontro, l’autore di the Host ha espresso le sue preoccupazioni riguardo l’attuale orientamento della grande produzione coreana nel sostenere solo film “commerciali”, evitando di lavorare con alcuni registi e mettendo da parte numerosi generi poco sfruttabili. Questa situazione ha prodotto una sorta di autocensura dei professionisti che hanno iniziato a seguire un decalogo implicito nel loro lavoro, cimentandosi solo su temi e stili che incontrano il favore dei produttori. Questo ovviamente aggrava ulteriormente lo sviluppo di una vera e propria scuola di cineasti coreani.
Grazie alla mediazione del Comicon, il Dongfang ha ospitato anche una sezione dedicata all’animazione prodotta in Corea del Sud di cui la giovane Song-hee Choeng è esponente di primo piano. Seguendo le note colorate e vibranti del pianista jazz Danilo Rea, la disegnatrice ha tracciato su fogli bianchi visioni estemporanee, scorci di Napoli e scene quotidiane che, animate dalla suggestione sonora, hanno colpito l’auditorium di Castel Sant’Elmo nella serata inaugurale del 25 ottobre. Nei giorni seguenti, Song-hee ha risposto a numerose domande sulla sua attività, soprattutto in relazione al contesto della sua nazione d’origine. L’incontro con il disegno è stato per lei precoce, sebbene abbia intrapreso relativamente tardi la strada della professionalità. Questo perché in Corea non esisteva una scuola o un percorso di formazione vero e proprio e i giovani apprendisti dovevano affidarsi un po’ a se stessi, almeno fino a qualche anno fa. Choeng ha infatti completato gli studi universitari in filosofia per poi dedicarsi al disegno come assistente ad un professionista. E proprio la filosofia influisce molto su quello che disegna. Le tematiche che tratta nei suoi lavori vertono molto sul sesso da un punto di vista femminile e femminista. L’assenza di una scuola l’ha costretta a fare pratica attraverso numerose riviste non ufficiali, grazie alle quali è però riuscita a far conoscere ed apprezzare il proprio tratto. Dall’inizio degli anni ’90 qualcosa ha cominciato a cambiare. Le università si sono interessate progressivamente al settore istituendo corsi di studio sul disegno, il mercato ha iniziato a scrollarsi di dosso il predominio schiacciante del manga giapponese ed i coreani hanno ripreso ad osservare la propria storia. Molti disegnatori infatti si rivolgono al passato antico della Corea quale ambientazione dei racconti. A differenza poi del carattere marcatamente commerciale del cinema, il fumetto, insieme alla narrativa, riesce ad esprimersi più liberamente, dedicandosi spesso ad argomenti di rilevanza sociale oltre che esplorare territori più intimi e personali. Sta crescendo in modo molto rapido l’utilizzo del fumetto e del disegno animato nell’educazione dei bambini, così come la circolazione in Internet dei lavori di nuovi autori, un fattore che permette a tutti di farsi conosce velocemente e da più persone.
Ha parlato molto meno Jeon Soo-il, regista che ha intrattenuto gli spettatori dopo la proiezione del suo intenso With the girl of black soil. E’ storia di una bambina alle prese con un padre disoccupato ed un fratello ritardato, nel contesto di miseria di un centro minerario. Si respira un’atmosfera affine ai film “operai” di Ken Loach ed al carico tragico del rosselliniano Anno Zero. Soo-il ha qui inteso mostrare una storia come tante nella problematica quotidianità della periferia mineraria dello stato. Il suo è dunque un intento di denuncia di della precarietà di quei lavoratori e delle loro famiglie, ha detto. Il regista ha ricevuto numerosi complimenti per la sua capacità di lavorare così bene con dei bambini e, soprattutto, per essere riuscito ad emozionare gli spettatori.
