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Donnie Darko

Pubblicato il 18 dicembre 2004 da Fabrizio Croce


Donnie Darko

L’ossessione della follia intesa come perdita irrecuperabile della propria identità segna spesso quel confuso e conflittuale periodo della vita che si chiama adolescenza. Questo avviene specialmente se si vive come vive Donnie Darko, incastrato nell’anonimo, lindo sobborgo della provincia americana appiattita sui soliti schemi socio-culturali-cattolicesimo, conservatorismo, frustrazione esistenziale che sfocia in violenza - e avulso anche da un contesto familiare oscillante tra l’apatica indifferenza dei genitori e gli sterili conflitti con la sorella maggiore. Il contesto in cui lo sceneggiatore-regista Richard Kelly inserisce il suo allucinato eroe non serve però tanto a spiegare o a dare delucidazioni sulle azioni o sui comportamenti di Donnie, tantomeno a farci penetrare il mistero della sua psiche. E’ semplicemente un contesto, un contenitore dentro il quale vengono frullate immagini, suggestioni visive e sonore, dissonanze tra le pulsioni dei corpi e i corto-circuiti delle menti, dove è possibile far convivere tutto e il contrario di tutto, la felicità e la sua negazione, la distruzione e la bellezza. Al centro di questo “pazzo mondo” - come recita la canzone dei Tears for Fears, leitmotiv del film - Donnie sembra in realtà l’unico capace di comprendere che ogni cosa e ogni essere umano possiedono una loro complessa, sfaccettata, unica ed inimitabile natura, ed il fatto che tutti gli altri intorno a sé non se ne accorgano lo spinge all’esasperazione e all’esplosione del suo mondo interiore, contaminato dalla bruttezza e dall’orrore di ciò che c’è all’esterno. Il gigantesco coniglio verde che si materializza davanti ai suoi occhi - versione deformata e mutante di Harvey, il ben più rassicurante amico immaginario di James Stewart nell’omonimo film - gli comanda di rispondere alla violenza perbenista e castratrice della comunità con atti di vandalica e anarchica devastazione, lo conduce verso il fascino perverso delle armi (coltelli, pistole), preannuncia un’apocalittica fine del mondo (cosa che nel 1988, anno in cui è ambientato il film, doveva essere una minaccia sopita e negata) e lo fa portatore di una rabbia cosmica che annulla la concezione di tempo e spazio. Solo quando Donnie riuscirà a ricomporre un delicato equilibrio tra razionalità (la passione per la scienza attraverso la scoperta di un libro sui viaggi nel tempo), emotività (il sentimento puro e incontaminato verso una sensibile e problematica ragazza), e visione (il mostruoso coniglio, tolta la maschera, gli apparirà come un suo coetaneo menomato, impaurito, proiezione di un malessere radicale e implorante comprensione, oltre l’odio brutale o la non curanza degli altri), potrà compiere la scelta giusta e riappropriarsi della propria identità e del proprio tempo, dare un senso a ritroso a quelle immagini da cui si sentiva estraniato e fermarsi nel punto in cui tutto doveva ancora succedere. Preferire una morte grottesca ad una vita grottescamente dolorosa

[dicembre 2004]

Regia,sceneggiatura: Richard Kelly; fotografia: Steven Poster; musica: Michael Andrews; interpreti: Jake Gyllenhall, Holmes Osbourne, Maggie Gyllenhall, Daveigh Chase, Mary McDonnell, Patrck Swayze, Jena Malone, Drew Barrymore, Noah Wyle; produzione: Adam Fields, Nancy Juvonen, Sean McKittrick; durata: 133’; origine: USA 2001

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