Dott. Plonk

Anno 1907: colto di sorpresa dalla fine del carburante che alimenta la sua futuristica vettura, il Dottor Plonk, insigne scienziato australiano, elabora una teoria secondo la quale il mondo dovrebbe finire di lì a centouno anni. Come ogni scienziato assolutamente geniale che si rispetti, però, anche il nostro eroe deve misurarsi con l’impossibilità di far capire al Governo (incarnato dall’integerrimo Primo Ministro Stalk) e ai burocrati le formule matematiche che, sulla carta, dimostrano l’inoppugnabilità delle conclusioni catastrofiche cui è giunto. Occorre una prova fisica e, per procurarsela, il buon dottore non trova altra alternativa che costruire una macchina del tempo e andare a vedere di persona. Comincia così una serie di viaggi avventurosi nel 2007, alla ricerca dell’inoppugnabile verità della fine di tutte le cose.
L’ultima fatica di Rolf De Heer è tutto fuorché… faticosa. Il che non ne esaurisce il senso né ci aiuta a capirla meglio. Ci dice semmai che non sarebbe male andare al cinema a vederla perché, anche se è in tutto e per tutto un film muto, in bianco e nero e con tanto di didascalie, resta comunque molto divertente. Ed istruttiva!
La mitologia dice che Dott. Plonk sia nato, più che come un gioco, come il bisogno di consumare metri e metri di pellicola che, ormai scaduti, riempivano il frigorifero di un laboratorio fotografico. Ma la mitologia insegna troppe cose strane per darle credito più di tanto. E in ogni caso il semplice fatto che un film prenda corpo per il solo bisogno di smaltire dei rifiuti non implica che, alla fine, esso debba essere, solo per questo motivo, niente più che un rifiuto.
Più probabilmente Dott. Plonk è un film sui rifiuti. Quando prende la macchina del tempo la prima cosa che lo scienziato incontra e che gli dice molto del nostro tempo, del 2007 nel quale viviamo, è una busta di plastica. Un rifiuto inorganico che gli si appiccica al volto e che egli non può non scambiare per un cappellino all’ultima moda, perfetto come dono per la prosperosa consorte. I viaggi successivi rivelano, allo sguardo stupefatto del dottore, containers abbandonati nel deserto, case in rovina, tralicci della corrente elettrica. Un mondo di per sé finito: l’altra faccia del sogno prosperoso nel quale crediamo di vivere. Il protagonista, alla ricerca di una prova inconfutabile sulla prossima fine del mondo, dimostra, senza neanche accorgersene, che noi viviamo già nella fine, che gli angeli hanno già fatto squillare le loro trombe dell’apocalisse e per noi l’ora è già il dopo. Non c’è differenza sostanziale tra le città popolose con quei buffi abitanti che, seduti su comode poltrone, fissano un oggetto quadrato che emette immagini e suoni e quella prima busta di plastica sospinta dal vento. Entrambi sono segni di una civiltà che si consuma e che si butta via, anestetizzata da una televisione che trasforma la stessa fine del mondo temuta da Plonk in uno spettacolo per anestetizzare le masse.
A pensarci bene, quindi, Dott. Plonk è un film sui rifiuti girato dalla parte dei rifiuti. Perché è lo stesso Dottor Plonk a trasformarsi ben presto, per noi, in un rifiuto sociale. Abbiamo paura della sua ingenuità un po’ naif (più malignamente abbiamo paura della sua genialità), ci spaventa il suo candore che trasforma il lavoro in laboratorio in trucchi da baraccone (il contatto più umano con l’oggi il personaggio ce l’ha con i bambini che intrattiene con trucchi da clown quasi fosse un qualsiasi artista da strada). E così terrorizzati gli mandiamo contro i nostri poliziotti, che non sanno far altro che inseguirlo senza posa come in un vecchio slapstick, e poi i nostri soldati e, infine, lo rinchiudiamo in una cella con su la scritta “Terrorista”. Non ci piace che ci ricordi che viviamo in un impero che è ormai crollato, come non ci piace che i terroristi dei nostri paesi più poveri ci rammentino che l’occidente sta collassando sotto il peso della sua stessa economia malata e che basta appena un colpettino ben assestato di cerbottana per spargere panico e orrore. Perché da che mondo è mondo, David ha sempre ucciso Golia. Non perché più bravo o più forte, ma solo perché Golia è decisamente troppo grosso.
Il Dottor Plonk ha, però, trovato un’arma ancora più efficace di un poco estetico sasso e di un’ancor meno estetica fionda: la risata. E se è vero l’adagio che recita “una risata vi seppellirà”, allora forse è meglio che non andiate al cinema a vedere l’ultima fatica di Rolf De Heer. Rischiereste di non sopravvivere al primo minuto di proiezione. Avevate mai fatto caso al fatto che regista fa rima con terrorista?
Certo forse in certi momenti il film, dell’infima durata di ottantacinque minuti, appare un po’ ripetitivo e, quindi, lungo, ma è solo perché la pellicola scaduta da consumare era tanta. E non è che mancassero le idee. Di quelle, anzi, ce n’è a bizzeffe. Alcune davvero memorabili. È piuttosto un problema insito nell’atto di riciclare.
E a proposito di riciclare come non sottolineare il fatto che il regista ricicli da par suo un vecchio modo di fare cinema riscoprendo l’infanzia del mezzo. Ma ad essere riciclato è anche molto del suo stesso cinema: i bambini di città ridono ai sollazzi del buon dottore con lo stesso candore un po’ serio di La stanza di Cloe e i selvaggi che Plonk incontra quando per errore finisce nella preistoria sono gli stessi di 10 canoe.
Trasuda amore per il cinema Dott. Plonk. È un divertimento dell’intelligenza in cui siamo chiamati a ridere di cuore. Decisamente meglio di quell’apparecchio mostruoso, altrove ribattezzato TV, che basta posargli gli occhi addosso per esserne, come informa lapidaria la didascalia più bella del film, ADDICTED. E forse, disintossicati un po’ dall’ebetitudine televisiva potrebbe capitarci di notare che, secondo i calcoli di Plonk, la fine – non quella del film, non quella di questa recensione – quella vera è stata l’anno scorso.
(Dott. Plonk); Regia e sceneggiatura: Rolf De Heer; fotografia: Judd Overton; montaggio: Tania Nehme; musica: Graham Tardif; interpreti: Nigel Lunghi – alisa Signor Spin – (Dott. Plonk), Paul Blackwell (Paulus), Magda Szubanski (La Signora Plonk); produzione: Film finance corporation Australia, Fandango, South Australian Film Corporation, Adelaide Film Festival & Palace Films; origine: Australia, 2007; durata: 85’
