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DREAMER - La strada per la vittoria

Pubblicato il 20 settembre 2006 da Nicola Cordone


DREAMER - La strada per la vittoria

La storia di Cale, figlia di un esperto addestratore di cavalli, rappresenta simbolicamente il sogno americano: partire dal nulla, nell’anonimato, sacrificarsi, non abbattersi mai e continuare a coltivare i propri sogni (illusioni) fino a che non si raggiunga la meta così tanto agognata. E’ questo lo spirito che anima la famiglia Crane, a cominciare proprio dalla piccola Cale che nutre una passione ereditaria e viscerale per il mondo dei cavalli, per la competizione, per la vittoria e per le rivincite; una delle poche battute affidate alla di lei madre Lilly suona come un monito accorato e perentorio a non rompere la bolla delle illusioni e a salvaguardare le aspettative infantili perché vitali, sane e psicologicamente strutturanti: Cale dovrà diventare una vincente, emulare-superare le orme paterne, ricostruire un nuovo ranch, sposarsi e crescere figli; questo è verosimilmente il futuro che le è stato programmato e a cui lei, sin dalla più tenera età (e forse proprio in ragione di ciò), si omologa con molta facilità. Questa breve analisi non deve esser letta come una critica tanto banale quanto superata alla griglia di valori e di orizzonti della società americana, ma può servire per cogliere alcuni aspetti della regia e della sceneggiatura di John Gatins, qui al suo debutto dopo una lunga parentesi come scrittore. L’impostazione ideologica e la direzione tecnica sono infatti fortemente conformistiche e rispondenti a schemi tradizionali preconfezionati e abbondantemente (ab)usati. Scolastiche dunque quasi tutte le soluzioni di regia, comprese le corse dei cavalli e le gare tra fantini, che nulla concedono al pathos e alla suggestione; si ha spesso l’impressione di trovarsi di fronte ad un prodotto artigianale di bassa lega, pressappochista e nient’affatto cinefilo. I personaggi soffrono di una accentuata stereotipia che non trova giustificazione neanche nell’appartenenza ad un genere e sembrano intenzionalmente “tagliati con l’accetta” in favore di un racconto di cui si intuiscono le fila e la risoluzione sin dagli esordi.
La scelta degli attori appare adeguata ai singoli ruoli, anche se ci sfugge il motivo della presenza nel cast di una star come Elizabeth Shue, relegata in una parte secondaria di un film commerciale come Dreamer, mentre Kurt Russell ed il cantante Kris Kristofferson sono veterani anche di questa serie di pellicole: in effetti appaiono a proprio agio nelle vesti dei due allevatori dal volto ruvido e monocorde.
In America il film, uscito nel dicembre del 2005, ha riportato uno scarso consenso di pubblico: segno evidente di una imperfetta qualità confezionale, da cui un prodotto di questo tipo non può mai prescindere, anche nei riguardi di una platea di fedeli.

Regia e sceneggiatura: John Gatins; direttore della fotografia: Fred Murphy; montaggio: David Rosenbloom; scenografia: Brent Thomas; costumi: Judy Ruskin Howell; musica: John Debney; interpreti: Kurt Russell, Dakota Fanning, Kris Kristofferson, Elizabeth Shue, Luis Guzman, Freddy Rodriguez, David Morse, Oded Fehr; produttori: Mike Tollin, Brian Robbins; distribuzione: Eagle Pictures; Durata: 100’

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