Due volte non si muore (DVD)

“Quando ci si chiederà conto di quel che abbiamo fatto, risponderemo davvero che abbiamo solo eseguito degli ordini?”
È questa la domanda che riverbera tra i fotogrammi di Due volte non si muore, pellicola di Falk Harnack, che, nel 1958, volgeva lo sguardo verso i crimini nazisti chiedendosi il senso della parola “tedesco” nel volgere della triste Europa post bellica.
Il contesto che la vede nascere è quello della Germania dell’era di Adenauer. Un contesto di poche pretese che pensa ad una ricostruzione da farsi lasciandosi, dove possibile, il "mostro" alle spalle, cercando di dimenticare l’orrore e di pensare solo ad un futuro più roseo. Poco importava che quel futuro, additato nei sorrisi di nuove generazioni che la guerra non l’avevano conosciuta per davvero, lo si costruisse coi calcinacci di un passato ancora troppo vicino. E poco importava che quei mattoni con quali si costruivano le case fossero ancora reimpastati col sangue di molti.
Gli ex nazisti erano ancora al potere. Forse non gli scaltri arrampicatori sociali della prima ora, ma di certo quelli più subdoli, quelli che non s’erano esposti troppo e che potevano spacciare la loro poca propensione all’azione di allora, come una forma di distanza morale dal verbo del Reich, come un non averci mai creduto davvero a quelle storie di razzismo e guerra sociale con cui altri si erano riempiti la bocca.
Un contesto, quello pensato da Adenauer, in cui la colpa della guerra e dei crimini che essa si era portata appresso erano di uno solo, Hitler, e in cui l’uomo comune aveva addosso la sola macchia, appunto, d’aver eseguito gli ordini. Frase ambigua, visto che era la stessa con la quale Eichmann affrontava il processo e l’opinione pubblica.
Due volte non si muore, a differenza di molte altre pellicole dello stesso periodo che affrontavano il periodo bellico con storie di spiccio eroismo quotidiano di tanti tedeschi brava gente, getta un cono d’ombra proprio sulla dimensione più spinosa della questione di coscienza.
Lo fa scegliendosi un protagonista esemplare, un pastore protestante, cappellano militare, che guarda intorno le rovine e le barbarie e pensa dolente: “non ho agito quando ancora poteva fare la differenza ed ora è troppo tardi”. Di fronte all’orrore della guerra e alle atrocità del nazismo non chiude gli occhi come molti altri hanno fatto, ma mette il suo ufficio sacerdotale al di sopra del ribollire del desiderio di obiezione di coscienza. Il suo rapporto con Dio è quasi più importante del suo rapporto con l’uomo (come se fossero davvero due canali diversi di un comune sentire) e tutta la sua vita, di cui vediamo appena una notte di tormento, è un continuo scendere a patti tra l’orrore di ciò che fa e il bisogno che sia fatto nel giusto modo.
In fin dei conti è proprio questo conflitto interno di opposte ragioni il centro pulsante delle contraddizioni della Chiesa (non solo protestante) durante la barbarie nazista. Ed è la Chiesa tutta a non saper rispondere, senza apparire opportunista, a domande dolorose: come essere al tempo stesso fedeli cittadini e devoti sacerdoti? Come coniugare le leggi dell’uomo con quelle di Dio? Più semplicemente: come essere uomini se si agisce come bestie?
Il film cerca ad ogni passo l’assoluzione, ma va detto a suo merito, che sa sempre che non sarà facile, che non è scontata. Col suo bianco e nero intriso d’ombre che non son già più quelle espressioniste, la pellicola fa pensare addirittura a Bergman anche se c’è, nei personaggi messi in scena, molta meno lacerazione di quel che la Storia avrebbe chiesto.
Ma alla Germania contemporanea all’uscita del film non viene chiesto di riconoscersi più di tanto nei mille dubbi del pastore ottimamente interpretato da Bernhard Wicki. No! Il vero simbolo della Germania il regista se lo va a cercare nel povero soldato tedesco che, piccolo esempio di una gioventù in fondo estranea ad ogni propaganda, finisce, sì, per disertare, ma lontano da ogni consapevolezza politica, per amore. Condannato a morte dal tribunale del nazismo, il personaggio incarna quell’onestà, umiltà, purezza che la Germania aveva perduto (e, significativamente, la scelta più bella della sceneggiatura è di farne un giovane di origini russe). Il film canta, quindi, una messa da morto per una Germania che ci si dice più vera di quella poi raccontata nei libri di storia, mentre un coro di fantasmi nerovestiti si aggira per le rovine di un paese, senza saper più che direzione prendere. E si accontenta di un finale esemplificativo col pastore che sancisce il suo unico atto di reale protesta rifiutando il passaggio in macchina dell’ufficiale che ha preteso la condanna a morte del disertore, per trovarsi, alla fine, perso, tra le poche lapidi di un piccolo cimitero di campagna.
La qualità audio-video
Per quanto non brillantissimo, il quadro risulta, comunque pulito quanto basta per garantire una piacevole riproduzione domestica. Qua e là, per tutto il tempo, i segni dell’età della pellicola si fanno sentire, ma non sono fastidiosi e, anzi, danno al film quella patina di nostalgia per il bel cinema d’un tempo che certo non guasta.
Meglio l’audio che è sempre abbastanza pulito. Più chiara la traccia originale.
Extra
Il trailer e una piccola galleria fotografica sono i filologici contenuti speciali di un DVD che, però, vale soprattutto per il film che ripropone all’attenzione del pubblico.
(Unruhige Nacht); Regia: Falk Harnack; interpreti: Bernhard Wicki, Ulla Jacobsson, Hansjörg Felmy, Anneli Sauli, Erik Schumann, Werner Hinz; distribuzione dvd: Koch Media.
formato video: 1.33:1 (4/3); audio: Italiano e tedesco Dolby digital 2.0; sottotitoli: italiano
Extra: 1) Trailer 2) Gallery
