Dunkirk
Accompagnato da un tamtam mediatico (e sui social networks) che dura da più di un anno, festeggiato dalla critica internazionale come il più bel film di guerra di sempre (questo, ad esempio, il giudizio su Rolling Stone), elogiato come vertice della carriera di Christopher Nolan, circondato da una leggenda ideativa (Nolan masticava da più di 20 anni il progetto di girare questo film), caratterizzato da impressionanti dati tecnici (il numero delle comparse, il formato IMAX 70 mm) Dunkirk arriva in Italia poco più di un mese dopo la prima londinese, svoltasi alla presenza del principe Harry e di molti veterani, accolto, con poche eccezioni, da critiche entusiastiche. Insomma Dunkirk è uno di quei film di fronte ai quali è difficile porsi in modo ingenuo e “libero”. Allo spettatore viene chiesto, appena messo piede in sala, di schierarsi, di giudicare, fra le altre cose, il film rispetto al genere in cui Nolan ha deciso di cimentarsi confrontandolo con i soliti film/i soliti autori che in questo caso si menzionano – da Kubrick a Malick, da Stone a Coppola fino a Spielberg (tutti registi americani, peraltro) – di confrontarlo appunto con gli altri film di Nolan, con le implicite domande: è il suo miglior film? È finalmente giunto il regista londinese all’altezza dei suoi conclamati maestri (di nuovo Kubrick avanti a tutti)?
Abbiamo deciso di sottrarci alle ansie dell’orizzonte d’attesa, di non lasciarci schiacciare dalla sindrome High Fidelity (la top five di tutto) provando ad enucleare quali sono, a nostro avviso, i molti meriti del film. In linea con molti dei suoi film Nolan opta per una narrazione non lineare, dichiarata fin dalle prime didascalie (fra le pochissime di tutto il film, vedi sotto), combinando tre diversi piani temporali (un’ora, un giorno e una settimana), descrivendo la guerra da tre diversi punti di vista (l’aria, il mare, la terraferma) e dunque, più di una volta, ricorrendo al classico artificio – che ormai si è soliti definire tarantiniano - della ri-narrazione dello stesso episodio. Questo artificio narrativo che all’inizio del film appare qua e là un po’ cervellotico diventa col passare nel tempo sempre più plausibile, le sequenze narrative e i punti di vista, all’inizio più distesi, rispondono a un montaggio sempre più serrato che avvince e avvinghia lo spettatore ogni minuto di più, anche in grazia di una interazione perfetta con la pista sonora, costituita dalla incessante e imprescindibile musica di Hans Zimmer e da un uso dei “rumori” bellici e d’altro genere (l’orologio che batte implacabile) che con la musica perfettamente s’intersecano. Appare calibratissima – in linea, peraltro, con le convenzioni previste dal genere bellico - anche la scelta, in sede di sceneggiatura, di contemperare storie individuali e storie corali, alternando su un piano squisitamente cinematografico i primi piani sui volti dei protagonisti - anche se, almeno nel caso delle sequenze aeronautiche, Nolan opta per la sistematica sottrazione del volto dei personaggi, il viso di Tom Hardy lo vediamo praticamente solo nell’ultimissima scena -, e riprese in campo lungo, da tutte le possibili angolazioni, a significare l’alto gradiente di anonimità della guerra. A proposito di sottrazione: Nolan decide di non mostrare mai il nemico che si palesa solo e soltanto con le armi: i colpi di mortaio, i sottomarini, le battaglie aeree. Della regia, della fotografia (affidata all’olandese Hoyte van Hoytema, con cui Nolan aveva già girato Interstellar) e, come detto, del montaggio (Lee Smith, con cui Nolan collabora dai tempi della trilogia di Batman) si può solo restare ammirati, bisognerebbe esaminare intere sequenze alla moviola per enucleare tutta la maestria dei responsabili di ciascun dipartimento.
Per essere un film bellico-storico, ma se vogliamo trovare per Dunkirk una definizione potremmo chiamarlo la perfetta interazione di uno heritage film britannico con tutte le straordinarie capacità produttive dello studio system hollywoodiano, colpisce la parsimonia con cui Nolan ha fornito informazioni di contesto allo spettatore: non si è ritenuto opportuno sovraccaricare il film di nozioni sull’operazione Dynamo, vale a dire l’evacuazione di Dunquerque/Dunkirk svoltasi fra il maggio e il giugno del 1940, come a voler significare che il film gode di una sua autonomia estetica che prescinde dal dato storico-fattuale di riferimento. Fra gli aspetti di cui non si parla giova almeno ricordare alcuni elementi a tutt’oggi misteriosi: perché il comandante in capo delle truppe tedesche diede l’ordine di arrestare l’avanzata ai propri carra armati, dando modo e tempo agli inglesi di cominciare a organizzare l’evacuazione– ovvero casuali dell’intera vicenda: il sistematico bombardamento dall’alto delle navi inglesi non fu possibile per le avverse condizioni del tempo, un dato questo che a Nolan non interessa e che gli è stato rimproverato da chi guarda i film con i documenti d’archivio alla mano. D’altro canto un’operazione di salvataggio come quella messa in campo dagli inglesi, ricorrendo anche all’ausilio delle imbarcazioni da diporto (tutt’oggi ogni 26 maggio si celebra l’evento e tutt’oggi esiste una “Association of Dunkirk Litte Ships”, volta a ricordare l’impareggiabile contributo fornito dalle piccole imbarcazioni per l’evacuazione di Dunkirk) riveste all’altezza del 2017 un evidente significato sovranazionale e sovratemporale. Impossibile per lo spettatore di oggi non pensare a quello che, ad esempio, sta succedendo nel Mediterraneo, in tempi di cosiddetta pace. E, a proposito di possibili – magari anche forzate - attualizzazioni: il primo piano di Kenneth Branagh alias comandante Bolton che, messi in sicurezza i soldati del BEF (British Expeditionary Force), resta comunque in prima linea per aiutare l’evacuazione delle truppe francesi, non potrebbe essere letto come la risposta di Nolan all’egoismo della Brexit?
(Dunkirk). Regia: Christopher Nolan sceneggiatura:Christopher Nolan; fotografia: Hoyte van Hoytema; montaggio: Lee Smith; musica: Hans Zimmer interpreti: Fionn Whitehead (Tommy), Tom Glynn-Carney (Peter), Harry Styles (Alex), James D’Arcy (colonnello Winnant), Kenneth Branagh (comandante Bolton) Cilian Murphy (soldato sotto shock), Mark Rylance (Mr. Dawson), Tom Hardy (Farrier) produzione: Syncopy Inc, RatPac Dune Entertainment, Warner Brosorigine: Usa, Gran Bretagna, Francia, Olanda 2017; durata: 107’.