DVD - 3 Film di Chris Marker

La Jetée
Il cinema di Chris Marker nasce dal vuoto (in maniera affine ai componimenti musicali di David Raskin, evocato suggestivamente in Level Five) e da quel nucleo primigenio, slegato da tutto il resto, intreccia come fossero materia plasmabile tempo e spazio, sostanze quanto mai irriducibili, lo sappiamo bene, a lasciarsi piegare in maniera dissimile rispetto alle loro leggi immutabili. E tuttavia, non così avviene per Marker. L’immaginario di questo principe dei filmaker sperimentali si nutre di singole immagini, istantanee che si imprimono nella mente indissolubilmente, dimostrandosi in grado di turbare l’animo in profondità e perfino di segnare intere esistenze una volta per sempre.
La Jetée è la summa perfetta del Marker-pensiero: in appena mezz’ora di film, è contenuto tutto quanto il poliedrico cineasta francese considera più caro: il suo è uno sguardo da ‘viaggiatore dello spazio’, contaminato da inusitate digressioni fantascientifiche (e non solo paralinguistiche o filosofiche, queste ultime più facilmente riconosciutegli). La Jetée è un’opera crudele per tema e argomento trattato, incandescente sotto la sua facciata di asciuttezza semi-documentaristica. L’impatto emotivo del film è devastante: pur trattandosi di un cortometraggio (uno dei corti più belli e giustamente noti di sempre) e di un’opera di science-fiction, il suo contributo al dibattito sul tema delle conseguenze delle guerre, risulta incalcolabile.
L’azione si svolge su una serie di ‘isole nel tempo’. L’immagine sinestetica viene formulata nel corso del suo film gemello: e non stiamo parlando de L’Esercito delle Dodici Scimmie, nato, come ognuno sa, dalla costola del corto di Marker, ma dell’altro grande capolavoro realizzato in larga parte con tecnica affine, La Passeggera del polacco Munk. Ma, tra i precursori più diretti all’operazione markeriana, merita almeno un rapido cenno, l’indagine di segno affine sul carattere ambiguo dell’immagine, condotta dall’imprescindibile Antonioni di Blow Up.
Marker assembla qui quelle che si offrono come vere e proprie foto di scena, al posto delle tradizionali sequenze in movimento che vediamo usualmente scorrere sotto i nostri occhi in un film (pur nella consapevolezza dell’illusione ottica che regola tale meccanismo), mentre una voce over completa il senso delle singole immagini disgiunte le une dalle altre, donando profondità e valore alla loro muta bellezza: frammenti visivi che imprigionano al loro interno infiniti livelli di lettura, abissi smisurati di ieraticità.
Questo tempo fissato una volta per sempre e congelato nell’attimo dello scatto fotografico sembrerebbe sulle prime quasi ripiegarsi su sé stesso, impassibile al fluire degli eventi. Ma poi, interviene per fortuna la funzione ‘salvifica’ del montaggio, a instillare la vita al di sotto della coltre di fermi-immagine. Mai come in questo caso, ci si trova al cospetto di immagini di morte, che si ribellano all’inazione, tanto da non risultare mai inerti. Si tratta di flashback e flashforward vividi e inestinguibili dalla mente del protagonista, cui appartiene la voce over di questo corto.
L’assenza di una colonna sonora tradizionale, generalmente atta ad assolvere ad una precisa funzione catartica, precipita il film in un baratro di incomunicabilità, di distaccata incomprensione, che diviene foriera di ulteriore malessere per chi guarda. La musica a definizione e commento presenta qui, invece, una valenza straniante, secondo un procedimento caro al regista. Essa asseconda i più inesplicabili percorsi mentali, rifuggendo il facile appiglio che consentirebbe di appoggiarsi alle immagini, piuttosto che ricercarne significati ulteriori. Ma questo avviene sempre, in Marker, anche per le parole, come vedremo: traccia audio e materiale video si snodano parallelamente, intrecciandosi solamente in alcuni punti precisi in cui essi si caricano vicendevolmente di senso.
Sans Soleil
Vola da un capo all’altro del mondo, il cineasta-viaggiatore, per riannodare i fili sciolti del senso dell’esistente, assecondando il fluire disordinato e illogico del pensiero o – meglio – del ricordo. Mette in comunicazione continuativa il Paese del Sol Levante con il Continente sempiternamente bagnato dai raggi del Sole, l’Africa (filma le ragioni del Sahel e della Guinea Bissau, con la sua totemica videocamera), in maniera, a prima vista, del tutto inopinata. Ma poi, quel montare disordinato, ti fa scoprire, magari, come e quanto le feste dei quartiere giapponesi rassomiglino incredibilmente ai riti e alle celebrazioni africane. “Non è ricerca di opposti, ma viaggio ai poli estremi della sopravvivenza” interviene, quasi in difesa di tale scelta, la voce over, stavolta quella dell’anonima donna che legge brani di lettere ricevute da un suo amico, altrettanto sconosciuto operatore free-lance.
Del ricco e organizzato Giappone, interessa cogliere i comportamenti fuori dagli schemi dei pochi disubbidienti, dei derelitti di cui, chissà perché, generalmente non viene fatta mai menzione. Meglio far proprie le mille incongruenze di un Paese incastonato fra passato e futuro, o immortalarne i misteriosi rituali (pregare una Dea Gatta, non per ritrovare la micia smarrita, ma affinché questa possa trovare la Pace, al momento della sua morte), che non illustrarne piattamente risapute e folkloristiche tradizioni secolari.
Marker anticipa o, all’opposto, riflette a distanza di svariate decadi, su altri cambiamenti epocali, ignorati dalla Storia (o forse solo dall’Occidente).
L’autore ricerca volutamente la banalità, le fasi di stanca: coglie momenti in cui, in apparenza, non accade proprio nulla: lì solo, sotto i vuoti simulacri delle cose, è dato cogliere, paradossalmente, gli autentici frangenti carichi di senso dell’esistente. Ciò che sta tutto attorno alla noia, quanto ignori la fragilità che emerge dalle ‘pause’, non custodisce segreti indicibili e, dunque, non conta niente. In quest’ottica, gli inserti in nero divengono vitali, creano lo spazio e il tempo per assimilare e meditare sulle immagini immediatamente precedenti e quelle successive.
Sembra che Marker cristallizzi quell’attimo di vita delle persone che finiscono casualmente (?) in camera, giungendo a catturarne l’essenza più riposta. E’ una sensazione bizzarra, difficile da comunicare e rendere a parole. Spiacevole, anche. Il suo cinema pare succhiare via la vita dalle immagini. Possiede una qualità vampiresca che penetra sottilmente le difese, avvincendo totalmente l’interesse e agendo anche a distanza di molto tempo dalla visione dei suoi film, per mezzo di un’inquietudine indicibile, indecifrabile. Incide profondamente, in tale ottica, anche la qualità così particolare delle parole scelte: quasi sempre si rivolge a lunghi monologhi (che si tratti di epistole lette o di una donna che si rivolge direttamente al suo uomo, guardando in camera, l’interlocutore privilegiato di questo fiume di segreti, di diari intimi e privati, rimane lo spettatore: condizione da cui discende, per lui, ulteriore disagio).
L’immagine, ci comunica, ha diritto di essere tenuta per non più di un battito di ciglia, lo spazio fuggevole di uno sguardo ricambiato da una donna della Guinea, che si accorge di essere osservata, e che vi restituisce l’occhiata solo per un venticinquesimo di secondo, prima di tornare a rivolgere gli occhi altrove, intimidita, o forse solamente seccata.
Level Five
Intrigante, quest’altro pseudo-documentario-futuribile: un’indagine poetica condotta su un avvenimento un po’ dimenticato, la battaglia di Okinawa (solo recentemente rispolverata dagli scaffali più obliati della Storia dalla doppia sortita bellica eastwoodiana). E di nuovo, passato e futuro si scontrano e Marker si dispone ad osservarne le schegge scaturite dalla colluttazione, puntandoci contro l’occhio mai indifferente della sua videocamera.
L’intensa Catherine Belkhodja è Laura, l’archeologa di Internet, la donna programmatrice che si commuove profondamente a far luce sulle maschere più e meno virtuali dei protagonisti misconosciuti della storia. E’ lei a sollevare interrogativi a prima vista disgiunti – tanto per cambiare – dalla trattazione principale. Racconta del ruolo assunto dal computer, o meglio, quello che gli abbiamo attribuito noi, nella società contemporanea: quello di depositario della nostra memoria, proprio in un’epoca in cui, paradossalmente, di memoria non ve n’è più. Parla della dittatura della videocamera, Laura, che può tanto facilmente trasformarsi in arma, se puntata contro persone ‘al limite’.
Il contesto, dunque, stride di nuovo con l’obiettivo: la dimensione da filmino intimo e privato, in cui una donna parla al suo uomo amato (anche se solo immaginato), contrasta enormemente con l’argomento bellico. Ma Laura, sembra suggerire Marker, è soprattutto una donna che sente profondamente, vive quasi sulla sua pelle, le tragedie appartenenti a persone lontane, di nuovo, nel tempo e nello spazio, da lei. E si rivolge ad un ipotetico etnologo del futuro, per descrivergli l’irragionevole uomo di fine millennio.
Oggi, i lavori di Marker, costituiscono non a caso anche un inestimabile documento d’epoca, un contributo testimoniale a momenti di trapasso colti in fieri, mentre le conseguenze pratiche sono per i più avvertibili solo dopo, a passaggio ormai avvenuto. Il valore della sua opera è accresciuto proprio dal totale disinteresse a voler fissare una determinata realtà con immagini preconfezionate. Quelle prescelte da Marker, invece, si imprimono nella memoria, proprio perché non viene loro sovrapposto alcun filtro falsamente oggettivo.
La qualità audio-video
Il livello del comparto è notevole: nonostante i passaggi avvenuti da un formato all’altro (indicati più sotto), le immagini risultano sempre nitide, perfette. L’audio è pulito, anche se la traccia audio è solo Mono. Sacrosanta la scelta di aver mantenuto la sola traccia francese (magari sarebbe stata auspicabile, però, la possibilità di inserire più opzioni per i sottotitoli, mentre rimane la scelta obbligata di visionare i film con i sottotitoli fissi in italiano).
Extra
Oltre all’accesso diretto alle scene, non sono presenti ulteriori extra: ma ci sentiamo di far rientrare di straforo nella categoria il bel booklet di 16 pagine, contenuto nel prezioso cofanetto. Salutiamo l’operazione della Ripley, comunque, come particolarmente benvenuta: è auspicabile seguire la strada del recupero di simili perle, ripescate nel più profondo Oceano dell’audio-visivo.
(La Jetée); Regia: Chris Marker; interpreti: Hélène Chatelain, Davos Hanich, Jacques Ledoux, André Heinrich; Catherine Belkhodja; distribuzione dvd: Ripley Home Video;
formato video: 16:9; audio: Francese Mono (Dolby digital 5.1, DTS e Stereo 2.0) e inglese Stereo 2.0); sottotitoli: Italiano (fissi)
Extra: Accesso diretto alle scene.
(Sans Soleil); Regia: Chris Marker; voce narrante: Arielle Dombasle; distribuzione dvd: RHV;
formato video: 1,66; (girato in 16 mm gonfiati a 35 mm); audio: Francese Mono (Dolby digital 5.1, DTS e Stereo 2.0) e inglese Stereo 2.0); sottotitoli: Italiano (fissi)
Extra: Accesso diretto alle scene
(Level Five); Regia: Chris Marker; interpreti: Hélène Chatelain, Davos Hanich, Jacques Ledoux, André Heinrich; voce narrante: Jean Negroni; distribuzione dvd: RHV;
formato video: 1,33 (video, Beta Sp trasferito su 35mm Col.); audio: Francese Mono (Dolby digital 5.1, DTS e Stereo 2.0) sottotitoli: Italiano (fissi)
Extra: Accesso diretto alle scene
