DVD - ALMODOVAR: Labirinto di passioni

Realizzato dopo Pepi Luci Bom e le altre ragazze del mucchio, Labirinto di passioni segna il definitivo ingresso di Almodovar nel mondo del cinema per più di una ragione.
Tanto per cominciare il film nasce all’insegna di un’acquisita e riconosciuta professionalità resa evidente sin dalle nuove contingenze produttive. Per la realizzazione della pellicola, infatti, il regista spagnolo che, fino a quel momento, aveva potuto contare solo sull’autofinanziamento, ha avuto a disposizione un budget di venti milioni di pesetas (per la maggior parte forniti dal cinema Alphaville) che hanno potuto garantire una maggiore cura nella confezione oltre che la possibilità di poter contare, per la prima volta, sul lavoro di un vero operatore stipendiato.
Di qui una prima conseguenza di non piccola importanza: mentre le opere precedenti si erano, infatti, mantenute nel solco dell’amatoriale Super-8 e mentre la pellicola precedente aveva potuto contare sull’utilizzo di un ancora leggero 16 mm, Labirinto di passioni resta, di fatto, il primo film dell’autore a poter vantare un formato cinematografico a tutti gli effetti.
La voglia di cinema (una delle cifre costanti di tutta l’opera amlmodovariana) non resta, comunque, confinata alla sola scelta del formato, ma investe e determina ogni aspetto dell’opera quasi che il regista, ormai confermato di una sorta di patente di riconosciuta autorialità dal successo travolgente di Pepi Luci e Bom, si senta abbastanza fiducioso da poter realizzare una sorta di film caleidoscopio nel quale riversare tutti i frammenti di cinema che hanno, in qualche misura, contribuito alla formazione della sua personalità.
Ne vien fuori una commedia disparatada, grottesca e surreale nella quale trovano spazio, senza soluzione di continuità, le più disparate suggestioni e le idee più improbabili.
Il film si vuole, insomma, come una successione di accadimenti e come una galleria inesasuta e originalissima di personaggi uno più improbabile dell’altro senza che mai, nel corso della visione, un sia pur vago principio di credibilità interrompa il libero ed inarrestabile fluire di trovate.
Se la fonte di ispirazione e citazione costante è certo cinema un po’ delirante e quasi slapstick (con i dovuti distinguo essendo la slapstick un genere in cui l’azione basilare conta più dei singoli personaggi che la mettono in moto), non da meno i riferimenti per comprendere il senso della pellicola vanno molto oltre e affondano le loro radici in un rimasticamento divertito e partecipe di certi aspetti della cultura pulp della Madrid che fa da sfondo alla serie di vicende.
Ecco allora che il modo di disegnare i personaggi, sempre calcato e tutto proteso alla resa scandalistica delle loro peculiarità, risulta direttamente mutuato dal gossip giornalistico di riviste di consumo (quelle stesse ritagliate dal giovane regista protagonista di La mala educacion), mentre il principio di accostamento dei vari segmenti narrativi, nella sua successione a striscie isolate e quasi autosufficenti sembra rifarsi al modello dei fumetti.
Ma Labirinto di passioni è prima di tutto l’intrecciarsi "a labirinto" di tutta una serie di generi cinematografici accomunati tra loro da una propensione all’eclettismo che comincerà presto ad assumere una dimensione più contenuta e composta nell’Almodovar della maturità: l’action movie (nel segmento dedicato ai giovani terroristi a caccia del loro attentato), la commedia sentimentale (in tutta la parte riguardante i due giovani protagonisti), la commedia goliardica (nei gustosi retroscena sul mondo dello spettacolo) fino ad arrivare addirittura al musical.
Certo, a dirla tutta, Labirinto di passioni, malgrado si presenti come sintesi geniale e non scontata di tutta una serie di temi che verranno poi svolti con ben altra coerenza nei film successivi, non è assolutamente un’opera perfetta e autoconclusa. La sua adesione pop allo spirito del tempo (proteso verso una sospirata liberalizzazione del costume e del modo di pensare) ne fa documento irrimediabilmente datato di un periodo ormai metabolizzato e concluso della storia spagnola. L’ambizione grandissima dello script (non solo a livello strettamente contenutistica, ma più ancora a livello strutturale) urta con la dimensione produttiva ancora troppo contenuta col risultato che non sempre il ritmo e l’incalzare degli eventi riesce a mantenere quella dimensione forsennata che sarebbe necessaria a determinare il successo artistico di operazione di questo tipo. E il film sconta anche un difetto non da poco che è stato individuato a riconosciuto dallo stesso regista: la coppia di giovani protagonisti è sempre meno interessante ed orginale di tutta la galleria di figure sullo sfondo col risultato che quello che dovrebbe essere l’asse portante dell’intero intreccio (sapere come andranno a finire le cose per la giovane coppia di amanti) solletica troppo poco la curiosità dello spettatore con la conseguenza che, spesso, la pellicola sembra girare un po’ troppo a vuoto.
Eppure malgrado questi difetti costitutivi il film risulta essere un documento necessario per la comprensione dell’evoluzione del pensiero e dell’opera di Almodovar. Ma esso è prima di tutto la più completa espressione dell’amorevole gesto con cui il regista si accosta ai suoi personaggi che, tanto più sono disegnati secondo le regole di un’astratta caricatura, tanto più sembrano veri e palpitanti.
E, tutto sommato, il gioco ammiccante che soggiace all’organizzazione del flash-back risolutivo per il futuro dei due giovani protagonisti (una presa in giro affettuosa e amorevole dell’Hitchcock di Io ti salverò) prima ancora di essere un meccanismo ludico che serve a visulizzare le presunte cause psicologiche della loro ninfomania, sta lì a dirci, per assurdo e parodisticamente, che la loro "diversità" è, in fondo, assolutamente normale e non necessita di ulteriori spiegazioni. Ed è proprio qui, infine, il motivo di vera poesia della pellicola: nella galleria di infinite forme di diversità è, come già in Pepi, Luci e Bom, proprio la normalità borghese ad essere mostruosa e fonte di incubi. Almodovar è, quindi, forse la più grande medicina che il cinema di ha regalato per imparare, attraverso la finzione, a guardare le cose così come sono, accettandole e amandole sempre.
La qualità audio-video
Bisogna dire che la bellissima confeziona cartonta, come pure gli ottimi menù animati che aprono il disco ci avevano ben fatto sperare in un prodotto di ottima qualità. Speranze che cominciano a volatilizzarsi non appena il film comincia a scorrere di fronte ai nostri occhi.
Tanto per cominciare l’edizione in questione paga il debito alla scelta di un formato non adeguato. L’1.77:1 con lente anamorfica segnalato in copertina non basta a contenere, infatti, l’inquadratura nella sua interezza e ampie porzioni del fotogramma originale restano fuori formato. Le cose si aggravano quando si prende in considerazione la qualità del riversamento. Il master scelto è, infatti, in pessime condizioni. I colori sono spesso slavati e freddi (quasi da vecchio VHS) e la visione ne risente di conseguenza.
Meno peggio le cose vanno sul fronte dell’audio anche se le due tracce (entrambe Mono) non brillano per coinvolgimento e risultano spesso eccessivamente basse (in particolare la traccia italiana).
Extra
Anche gli extra non rendono giustizia ad una pellicola che avrebbe meritato ben altro trattamento. La Galleria fotografica resta poco più che un documento superfluo, mentre le schede di cast e filmografie sembrano poste lì per mero dovere contrattuale. Resta solo il Trailer, quindi, a riempire il vuoto. Il che è tutto dire.
[gennaio 2007]
(Laberinto de pasiones); Regia: Pedro Almodovar; interpreti: Cecilia Roth, Imanol Arias, Fernando Vivanco, Antonio Banderas; distribuzione DVD: Medusa
formato video: 1.77:1 anamorfico; audio: italiano e spagnolo dolby digital 2.0; sottotitoli: italiano e italiano per non udenti
Extra: 1) Galleria fotografica 2) Cast e filmografie 3) Trailer
