DVD - Dead man’s shoes

Midlands inglesi. Un soldato, reduce dal servizio militare o, forse, da qualche guerra, si aggira per le strade di una periferia che, nel cinema inglese soprattutto, è sempre un mondo a sé stante con regole sue che perpetuano un quotidiano squallore fatto di droga e disoccupazione.
Non cadano nell’inganno gli spettatori meno avveduti: l’orrore non è tanto nella ricerca di vendetta di questo personaggio che cerca per strada gli aguzzini che fecero del male al suo fratellino ritardato (figura innocente fino ad un certo punto di cui lui per primo provava vergogna), quanto piuttosto in questa visione di provincia dove i bambini conservano le mani pulite per troppo poco tempo.
È qui, in queste casette di legno costate quattro soldi e che avrebbero sempre bisogno di una mano di vernice, in questi appartamenti freddi dove i soldi sono sempre pochi per la pizza la sera, ma sempre abbastanza per una pasticca che, per qualche momento, apra un cielo in una stanza, che si trova il vero abominio. Il mostro, se di mostri ce n’è in questo film, non è quello che si mette la maschera del minatore e che brandisce un piccone col quale terrorizzare le sue vittime, ma l’operaio di fabbrica che torna a casa la sera con la voglia di sesso e la fame di rifiuti. Il mostro non è chi uccide una volta per tutte con un coltello o una mannaia, ma chi uccide, in un lento stillicidio, la propria stessa vita, soffocandosi nell’abitudine alla bestialità da mattatoio di case tutte uguali dove la tenerezza è un lusso e lo spaccio una necessità. Un orrore che neanche il verde smeraldo delle colline inglesi riesce a contraddire perché le cose più brutte si fanno in campagna, tra rovine antiche che hanno sapore di Shakespeare e delle sue scene più luttuose e cruente.
C’è tanto di teatro elisabettiano nelle immagini di Dead man’s shoes. Ci sono i contrappassi brutali delle morti che strizzano l’occhio al vecchio slasher, ma traggono linfa strana dall’adesione ad uno sguardo troppo realista e poco astratto. Ma c’è anche un sospiro di teatro greco col suo coro che non è più chi giudica la vicenda dall’esterno, ma è parte integrante del racconto. Vittima e carnefice al tempo stesso.
La catarsi passa ancora per l’accettazione del proprio sozzo ruolo in questo mondo, ma questa accettazione si è fatta col tempo marcia e putrescente. Non reca consolazione all’eroe, nè la porta al pubblico che guarda in un eccesso di orrore che non trova più la strada per la pietà. Anche il soffio di divino che si respira nel finale, con le musiche di Arvo Part, riesce appena a parlarci di un altrove inattingibile che sta nell’alto di un unico aereo movimento di macchina a volo d’uccello, ma chi è giù è condannato a camminare nel fango, trascinandosi dalla culla alla tomba.
Shane Meadows cavalca gli archetipi dello slasher movie ribaltandone la funzione. La maschera del mostro, infatti, qui non cela il vuoto freddo della morte al lavoro, ma è oggetto di scena con funzione prettamente ironica.
L’assassino la indossa un paio di volte, ma più ad uso del pubblico in sala che della vittima che quasi non se la vede comparire davanti.
Il gioco del gatto col topo funziona tra i vari personaggi messi in scena, meno con lo spettatore in sala che sa troppo dell’assassino e delle sue vittime per riuscire a parteggiare per davvero per l’una o l’altra fazione.
Così lo slasher viene superato e lo sfondo prende il sopravvento sull’azione lasciandoci tutti con l’amaro in bocca di una catarsi che lascia tutti con qualcosa in meno ed un mondo che, nel frattempo, non è cambiato per niente.
Come in ogni horror che si rispetti, alla fine, lo status quo è riconfermato. Ma in Dead man’s shoes, come nel miglior horror americano da La notte dei morti viventi sino a The Texas chainsaw massacre, lo status quo è tutt’uno con il mostro e il lieto fine, quando anche c’è ancora è solo apparente.
Perché alla fine del film, che ha i suoi difetti e non sempre è pulito sino in fondo, a morire è solo l’assassino più misericordioso.
La qualità audio-video
Piuttosto buono il riversamento del film su dvd. Girato per lo più con colori sporchissimi ed artefatti digitali ad hoc (in specie nei flash-back) con la volontà di incrementare la dolente visione di una periferia privata di qualsiasi umanità, il film non prestava particolari resistenze alla compressione, se non in sporadiche scene notturne poco profonde. Il risultato è nel complesso in linea con le intenzioni della fotografia originale.
Discreto anche l’audio che si avvale di due tracce dolby 2.0. Più aperta sul frontale e nitida quella originale, più chiusa e cupa quella italiana.
Extra
Il trailer ed una piccola photogallery impreziosiscono un poco un’edizione DVD certamente minimale, ma comunque importante.
(Dead Man’s shoes); Regia: Shane Meadows; interpreti: Paddy Considine, Gary Stretch, Toby Kebbell; distribuzione dvd: Officine Ubu.
formato video: 16:9 - 1.78:1; audio: Italiano e Inglese dolby digital 2.0; sottotitoli: Italiano non udenti.
Extra: 1) Trailer 2) Photogallery 3) Catalogo Film Officine Ubu
