DVD (extra) - Le 13 Vite di Claude Lelouch

L’immaginifico racconto documentario di Daniel Costelle prende le mosse dal seguente interrogativo: cosa accadrebbe se, ad un certo momento, Claude Lelouch scomparisse? In quali termini verrebbe ricordato e omaggiato?
Il prolifico cineasta francese assomma su di sé un bel po’ di contraddizioni. E’ l’unico autore europeo, ad esempio, ad aver portato a casa due prestigiosi Oscar per la medesima pellicola: miglior film straniero e miglior sceneggiatura per il suo titolo certamente più noto (e, probabilmente, più bello) Un Uomo, Una Donna, vincitore nello stesso 1966 anche della Palma d’Oro. L’opera di Lelouch è difatti maggiormente apprezzata in America di quanto non avvenga nella madrepatria ed è di sicuro più amata dal pubblico, piuttosto che dalla critica. E’ lo stesso cineasta a lamentare il tiepido consenso tributato ogni volta alle sue fatiche dagli addetti ai lavori. Ma è inutile nascondersi dietro a un dito: Lelouch non è certo Godard, né Resnais, o Rohmer, Rivette, Chabrol, Garrel, Pialat ecc... Non fa parte, insomma, di quell’empireo di numi tutelari che rimira dall’alto il cinema d’Oltralpe: la sua opera non è destinata a sedimentare nelle coscienze dei cinéphiles, né a dire una parola nuova sulla ’Settima Arte’. Essa sa essere invece amabile, popolare, lineare. In una parola – spesso una parola bistrattata – ‘artigianale’. Eppure, laddove un autentico talento registico ha latitato, Lelouch ha saputo spesso sopperire in ‘lucida’ caparbietà alla mancanza di soluzioni sperimentali originali, e, attraverso un lavoro indefesso e spesso intelligente, è riuscito a sollevare i suoi prodotti ‘medi’ al rango di racconti per immagini sempre e comunque appetibili.
Ciò che incuriosisce di più, dunque, in questo film documentario inframmezzato da interviste all’autore, è scoprire quanto vi sia stato di autenticamente avventuroso nell’esistenza del regista, compagno della ‘nostra’ Alessandra Martines. La sua nascita si è svolta da subito sotto il segno del cinema: seguita dallo sguardo amorevole del padre, completamente sovrapponibile in quell’occasione all’occhio vigile della cinepresa, che il genitore stringeva, emozionato, tra le mani. Quando ha appena tre anni, il piccolo Claude è costretto a fuggire in Algeria con i suoi, per mettersi in salvo dalle persecuzioni antisemite. Tuttavia, la famiglia deve presto dividersi quando la madre, convertitasi all’ebraismo per amore, ma cristiana di nascita, rientra in Patria. L’agognato momento del ricongiungimento alla stazione, risoltosi in un lungo abbraccio commosso tra i suoi genitori, rimane impresso indelebilmente nella memoria del piccolo Claude, che se ne servirà anni dopo per il suo celebre mélo con Trintignant-Aimée protagonisti. L’autobiografismo, del resto, è componente imprescindibile del suo cinema: Lelouch afferma di non aver mai dovuto inventare niente, poiché ‘tutte le immagini dei miei film, le ho viste davvero, nella realtà’.
L’autore ‘innamorato dell’amore’ ce ne fornisce qui la sua personale definizione. Dipingendosi dapprima come un uomo spigoloso e particolarmente diffidente, egli afferma che, per lui ‘l’amore è la vacanza dalla diffidenza’.
Tra le altre, curiose scoperte che si compiono visionando Le 13 Vite, rientra senza dubbio un personale rimpianto del regista: quello di non aver mai potuto lavorare con l’intensa, splendida Vivien Leigh, cui avrebbe affidato volentieri il ruolo andato poi ad Anouk Aimée in Un Uomo, Una Donna. Peccato! L’interprete sopraffina di Un Tram che si chiama Desiderio avrebbe fatto certamente faville (senza nulla togliere all’ottima Aimée)! A tal proposito, Lelouch ricorda anche quando, subito dopo aver conquistato gli ambiti Academy Awards, ricevette le proposte di collaborazione da parte dei nomi di spicco nella Hollywood dell’epoca: da Dustin Hoffman a Barbra Streisand. E cita, con una punta di ilarità in cui si avverte distintamente pure il rimpianto, le alterne fortune che la sua carriera ha attraversato sempre. Ammette di dovere moltissimo al Lelouch produttore: altrimenti avrebbe potuto girare solo pochissimi dei numerosi film che aveva in mente di realizzare.
Il titolo del documentario rievoca, difatti, proprio quel momento assolutamente fondativo della sua carriera, riportato fedelmente qui dallo stesso protagonista. All’atto di nascita della sua casa di produzione, egli propose un nome un po’ particolare come Les films de l’Apocalypse, che lasciò interdetto il notaio. Quest’ultimo notò, a quel punto, che erano le ore 13 del 13 marzo 1960 e che le lettere di nome e cognome del Nostro erano composte esattamente da 13 numeri: Lelouch si lasciò conquistare dalla cabala e impose volentieri il nome 13 alla sua neonata casa di produzione.
La qualità audio-video
L’unica possibilità offerta è quella di visionare/ascoltare il documentario nella sua versione originale francese, sottotitolata però in italiano (una versione doppiata, d’altro canto, non avrebbe avuto molto senso). Il film contiene diversi filmati d’epoca e di repertorio (legati alla prima infanzia e alla giovinezza del regista Claude Lelouch). Ma, anche in quel caso, la qualità si mantiene sempre su livelli più che dignitosi.
Extra
Il breve documentario è l’extra ghiottissimo del film L’avventura è l’avventura.
(Les 13 Vies du Chat Lelouch); Regia: Daniel Costelle; interpreti: Claude Lelouch, Daniel Costelle; distribuzione DVD: Medusa;
formato video: 16:9; audio: Francese Dolby digital 5.1; sottotitoli: italiano
