DVD - Herzog: Paese del silenzio e dell’oscurità

C’è una sequenza di Paese del silenzio e dell’oscurità (bellissimo documentario dedicato su Fini Straubinger, una sordo cieca che Herzog aveva incontrato durante le riprese di Futuro impedito) che non può non far gridare al capolavoro. Parliamo della scena in cui le due sordo-cieche che sono, in fondo, le protagoniste dell’opera, salgono per la prima volta nella loro vita a bordo di un aereo per scoprire in prima persona il miracolo del volo umano. Il paradosso assurdo di due “monadi” costrette a vivere ogni contatto con il mondo esterno attraverso il solo tatto (essendo sia vista che udito interdetti) che si confrontano con una delle esperienze più visuali in assoluto (l’ebrezza delle altitudini: quella cui Herzog dedicherà uno dei suoi film meno compatti: Grido di pietra) si unisce, in questo capolavoro altissimo, ad un senso di commozione e compartecipazione di una profondità senza eguali.
La macchina da presa sale sull’aereo insieme alle due donne, prende posto nel piccolo abitacolo del biplano turistico, concentra tutta la sua attenzione sul volto delle donne e rifiuta di cedere, sia pure per qualche brevissimo secondo, a qualsiasi lusinga sul mondo meraviglioso che scorre sotto le ali del veicolo in volo.
Qualsiasi altro regista, sicuramente molto meno visionario del genio tedesco, non avrebbe saputo resistere alla tentazione di lavorare di lirismo e avrebbe spostato il suo sguardo dal mondo chiuso delle protagoniste a quello dei paesaggi montuosi per cercare di far percepire il senso di ebbrezza del volo così come doveva essere percepito dalle donne cui quelle immagini erano, comunque, negate. Herzog no! Da par suo compie una scelta che è prima di tutto etica: rifiuta i meccanismi della facile commozione, rinnega le immagini dall’alto che si intravedono solo, del tutto ignorate da chi è a bordo dell’aereo, attraverso finestrini polverosi, e sostituisce alla poesia dei paesaggi della Natura (quella facile e alla portata di tutti) quella dei paesaggi dell’emozione. Herzog non usa mezzucci di sorta: nega a se stesso e allo spettatore l’enfasi delle immagini dall’alto e delle musiche eloquenti che, comunque siano fatte, non possono non “prendere” uno spettatore imborghesito (qual’era quello del 1970) e ormai assuefatto alla droga delle immagini propinata in ogni dove (quel’è, invece, quello attuale) e scava, con la sua macchina incollata sui volti delle donne, alla ricerca non del “visibile”, ma dell’“invisibile”. Quello che gli interessa e sondare sotto lo scorza dell’immagine (l’utopia costante di tutto il suo cinema) alla ricerca del “non visto”. L’ebbrezza del volo di due donne che non vedono, per questo, non può passare attraverso "l’immagine del volo", viceversa deve concentrarsi sulle reazioni a quel volo, deve passare attraverso i volti fanciullescamente eccitati delle due anziane signore (un altro ossimoro dove si scontrano l’età anagrafica e quella dello spirito), il loro scambiarsi impressioni attraverso i palmi delle mani. Nel far questo lo sguardo di Herzog rinnega se stesso. Le immagini si scarnificano, perdono la loro aura mitica (solo in alcuni momenti la poesia del visibile prende il sopravvento ed è, non a caso, sempre nei momenti in cui la donna ricorda il tempo in cui ancora poteva vedere e sentire) e diventano “indici” ed “indizi” di una condizione che paradossalmente non potrebbe essere comunicata attraverso immagini e suoni. L’utopia di dire l’indicibile si ammanta così di un segreto senso di nostalgia e dolore avverando un sentimento di rarefatta commozione che Herzog ritroverà solo nel tardo capolavoro iraqueno Lektionen in Finsternis. Ed ecco perché la grandezza del documentario non è tanto nelle immagini che ci regala quanto in quelle infinite possibili che ad ogni passo ci nega. Una scelta etica, questa, che fa il paio con uno dei momenti più impressionanti di Grizzly man quando il regista ascolta in cuffia, il momento della morte del suo protagonista (fortuitamente catturato da una macchina da presa rimasta accesa), ma nega quello stesso ascolto allo spettatore. È, in fondo, per questi piccoli motivi che Herzog è quel regista titanico che tutti noi non dovremmo mai dimenticare di amare.
La qualità audio-video
Il documentario è stato girato in condizioni produttive estremamente precarie e questo dato non può non riflettersi sul risultato finale. Alcune sgranature eccessive, i colori spesso troppo slavati non sono imputabili a scarsa cura del riversamento, ma sono parte integrante della fotografia originale del documentario e, man mano che la proiezione avanza, lungi dall’essere difetti divengono miracolosamente, come abbiamo avuto modo di vedere, parte costituente e non accessoria dell’intero discorso. Su queste basi la cura nel riversamento sia visivo che sonoro è davvero notevole.
L’immagine, sempre nitida, sembra non soffrire dei classici artifici della compressione e scorre via con invidiabile chiarezza.
Il suono (l’unica traccia è un mono originale: la Ripley conferma la sua passione cinefila ad ogni sua uscita) è, da parte sua, ben equilibrato e sapientemente “filologico”.
Extra
Rimandiamo all’ottimo booklet allegato all’edizione in esame ogni analisi ai tre importantissimi corti che arricchiscono questa meritevolissima proposta editoriale. In questa sede limitiamoci solo a dire come sezioni extra di questa fatta siano una gioia per gli occhi e per lo spirito.
(Land des Schweigens und der Dunkelheit); Regia: Werner Herzog; interpreti:Fini Straubinger; distribuzione DVD: Ripley’s Home Video
formato video: 1.33:1 (4/3); audio: Mono originale; sottotitoli: italiano
Extra: 1) Corto: La difesa esemplare della fortezza di Deutshkreutz 2) Corto: Provvedimenti contro i fanatici 3) Corto: Ultime parole
