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DVD - Il fantasma galante

Pubblicato il 5 dicembre 2010 da Alessandro Izzi


DVD - Il fantasma galante

Nel 1935 René Clair, a Parigi, non lavorava quasi più.
Il 1934 era stato l’anno di L’ultimo miliardario, film da più parti osteggiato per via della sua spassosa, ma virulenta critica alla dittatura. E non avrebbe potuto andare diversamente visto che in Germania si assisteva all’irresistibile ascesa del nazismo (la Tobis, coproduzione tedesca di tutti i film sonori del regista, si ritirò dal progetto) mentre nella Francia di Pétain le cose non andavano molto meglio. Il 1933, invece, aveva visto l’uscita di A nous la Libertè che, soprattutto nella prima splendida parte, è un inno assoluto alla ribellione a qualsiasi forma di oscurantismo culturale.
I presupposti perché la politica cominciasse a mettere il bavaglio all’artista c’erano, dunque, tutti. Meno scontato il fatto che l’artista, fosse, nel frattempo, corteggiato dall’industria americana.
Mentre, infatti, i produttori si ritiravano, con quieta discrezione, dai progetti di Clair, da Hollywood giungeva pressante l’invito ad una trasferta. I soldi c’erano, i soggetti pure, non mancava che il regista!
Clair in America non era, in fondo, particolarmente amato. Il suo stile era troppo francese, il suo ritmo troppo cerebrale per un pubblico che, forse, aveva amato Mack Sennett più di Charlie Chaplin. Al cinema il regista c’era entrato per la via del surrealismo. La porticina laterale degli artisti, non certo il vasto atrio di chi batte cassa.
Manco a farlo apposta il suo esordio si era consumato in un intermezzo teatrale, tra un atto e l’altro di tutt’altro. La commedia l’aveva scoperta poi, ma l’aveva subito riempita con lo spirito anarchico di chi si accompagnava con Dalì e Bunuel.
E quando poteva, Clair buttava l’occhio altrove. Al costruttivismo, alle Sinfonie cittadine, al cinema d’avanguardia. Solo che lui alla Sinfonia preferiva la Sonata e della città cantava i simboli più che le persone. Era La tour, del 1928, un atto d’amore che già sapeva di Nouvelle Vague.
In America piaceva il suo umorismo ribelle al giogo dei potenti. Ma si temeva, ad assumerlo, di dovergli mettere un guinzaglio troppo corto.
Clair, da par suo, recalcitrava. Si diceva lusingato ed interessato, ma preferiva continuare a girare in Francia. Strana affermazione per uno che, dal 1934 di L’ultimo miliardario al 1938 metterà l’occhio dietro una macchina da presa solo per un film di commissione coprodotto dall’inglese Korda che uno zampone in America ce l’aveva e ben piazzato pure.
Un film di commissione, ma, signore e signori: che film!
Il fantasma galante mette in scena proprio questo clima culturale. Con la grazia di una commedia che cede al pubblico quel che recupera in metafora.
Nella storia di un fantasma venduto ad un ricco americano insieme al castello che lo ospitava, il regista cuce, in filigrana, la storia dell’intellettuale ceduto all’industria dell’intrattenimento. Ogni goccia di mistero, di metafisica, di ultraterreno cede il passo, di fronte alla volgarità dell’uomo medio americano, alla smania affaristica, al bisogno di incasso. Il castello è comprato per far bella figura con gli ospiti. Smontato e smantellato, viene spedito in America per essere ricostruito, mattone su mattone, vicino ad un canale affollato da gondole perché tanto sempre di vecchia Europa si tratta!
Così al povero fantasma affannato dal suo obbligo di materializzarsi ogni notte a mezzanotte, non resta che il dover apparire dentro la stiva di una nave, in mezzo a ruderi destituiti di ogni loro funzione e bagagli in viaggio.
L’Arte ridotta a merce, si prende la sua rivincita sul piano della narrazione con tanto di storia d’amore, tra i vivi, coronata dal successo, ma lo fa all’interno di una coproduzione internazionale che è proprio come la stiva di quella nave in viaggio per il Nuovo Mondo.
Il fantasma galante così, ci parla di se stesso, con somma arguzia e voglia di paradossi. Metacinema all’ennesima potenza senza che si veda sulla scena una sola macchina da presa. Del resto quale metafora migliore del mondo del cinema se non quel castello d’altri tempi costretto a convivere con le palme del deserto e circondato da immensi fari che proiettano fasci di luce al cielo come in un logo della 20th Century Fox?
Somma grazia di un grande vecchio, allora appena trentasettenne. A pensarci, aveva allora, grosso modo, la stessa età del Cinema.

La qualità audio-video

Mai fu così bugiarda una fascetta!
Diffidate di quanto scritto sulla copertina. Il film non è presentato in un improbabile (per l’epoca) 1.85:1, ma in un più corretto 1.33:1 full screen. Il quattro terzi è, del resto, l’unico formato possibile per un’opera, datata 1935, che si avvaleva, anzi, di un 1.37:1. Poco, comunque, del fotogramma originale, sembra essere perduto. La qualità del riversamento è generalmente discreta, con qualche segno di artefazione che qua e là va ad inficiare la resa di un bianco e nero che non ha mai neri veramente ed assolutamente profondi. Nel complesso un buon risultato.
Bugiarda resta la fascetta anche per quel che riguarda il comparto audio che vanta, in questa edizione, tre filologiche tracce 2.0 e non, come indicato, il solo doppiaggio italiano. Abbiamo così l’originale inglese, la resa francese e il nostro non brillante italiano (che sfascia anche il titolo inglese The ghost goes west e la controparte francese, ancor più acre di Fantôme à vendre).

Extra

Purtroppo, nessuno.


(The ghost goes west); Regia: René Clair; interpreti: Robert Donat, Jean Parker; distribuzione dvd: Gargoyle.
formato video: 1.33:1; audio: Italiano, inglese e francese dolby digital 2.0; sottotitoli: italiano.

Extra: Nessuno


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