DVD - Il trono di sangue (Special edition)

Il teatro shakesperiano è la naturale conseguenza delle moralità e dei misteri medioevali. Ovvia considerazione per una realtà culturale, come quella inglese, che non ha conosciuto se non per riflesso i fasti luminosi del Rinascimento e non si è persa nelle elucubrazioni teoriche dell’Umanesimo.
La riscoperta delle Unità aristoteliche, che sul continente è la bandiera sventolata in battaglia dalle Accademie blasonate di un teatro tutto di testa (e di testo), arriva a Londra solo come un’eco lontana che affascina autori minori come Ben Jonson che scrivono più per le maschere che non per gli uomini. Le trovate barocche per un teatro di scenografia non interessano a compagnie che hanno da poco smesso di recitare sui sagrati delle Chiese e si sono chiusi in teatri che, a livello architettonico, sono giusto una replica di quelle piazze, ma al chiuso.
Lo spettacolo è la parola d’ordine: il senso dell’organizzazione scenica, la capacità di produrre azione ed emozione. Laddove la mancanza di fondali e costumi rischia di diventare un handicap (può succedere nei drammi storici, ma anche nelle favole mitologiche) interviene la parola elaborata in versi e melodie a riempire i buchi, a svegliare la fantasia dello spettatore costringendolo ad immaginare sullo spazio neutro dei fondali neri.
L’Inghilterra di Shakespeare è in piena ascesa in un progresso che è più economico che strettamente culturale. Elisabetta I ha appena avviato una sostanziale operazione di rinnovamento interno dello stato basata sull’idea della tolleranza religiosa. Purtuttavia il prolungarsi del medioevo inglese non è meno sanguinario del contemporaneo Rinascimento italiano ed europeo. Ovunque si moltiplicano i delitti tra i vicoli, complotti, progetti di colpi di stato. Regine decapitano altre regine, gli intrighi di palazzo diventano l’ordine del giorno e convivono stranamente con un’idea di fedeltà alla corona e di onore individuale. Ad ogni azione corrispondono complessi di colpa dettati dagli imperativi morali della coscienza. Si uccide e si ha poi orrore delle proprie mani insanguinate.
La coscienza raffrena l’azione, ma non può impedirla in nessun modo. Anzi obbliga chi la compie a riguardarla da vicino. L’assassino si ferma sul luogo del delitto e non può fare a meno di chiedersi perché.
Così l’uomo shakespeariano che guarda verso il cielo e lo scopre strappato, come un fondale di teatro cucito male dal sarto di scena, è profondamente moderno. Ma lo scenario nel quale si muove, pur se più opulento di quello di qualche secolo prima, resta ancora Medioevo.
Così è anche il cinquecento giapponese: una strana identità di vedute, uno strano rispecchiarsi di destini.
Ne è ben consapevole Kurosawa nel realizzare Il trono di sangue (passato in Italia anche con il titolo Il castello della ragnatela).
Il regista giapponese tratta il genio inglese come fosse un suo conterraneo. Non si limita ad ambientare Macbeth nel proprio Giappone, ma scopre l’anima giapponese tra le parole della tragedia dell’ambizione e della degenerazione dell’animo umano.
La sua è una doppia azione di riconoscimento: da una parte rivendica un’identità tra il medioevo giapponese e quello inglese, dall’altra impone le ragioni del cinema a quelle del teatro.
La sua condotta nei confronti delle parole shakespeariane è di riduzione assoluta. Ogni parola viene trasformata in azione, viene ridotta a movimento, ogni battuta passa non per la voce, ma per la gestione attoriale del corpo e l’organizzazione perfetta delle scene.
Kurosawa scava sotto la perfezione del capolavoro di Shakespeare e riporta in immagine la carica barbarica e destabilizzante del testo.
Il trono di sangue è un’opera squisitamente sperimentale: rilegge una tragedia tutta occidentale (ma al fondo universale) con i gesti trattenuti e compressi del Teatro No.
La sua lettura è su più livelli. C’è la componente spettacolare sapientemente enfatizzata dal regista giapponese (ancora impressionante la scena in cui Mifune viene seppellito dalla pioggia di frecce), ma c’è anche la rilettura psicanalitica con il contrasto tra le ragioni dell’inconscio simboleggiate dalla parca (che sostituisce le tre streghe di Shakespeare) e quelle dell’utile (rappresentato dalla Lady).
Un capolavoro esemplarmente riproposto in un dvd da collezione.
La qualità audio video
Non di eguale valore la qualità audio e video. Se per il secondo il lavoro di digitalizzazione non ha comportato una grossa perdita di qualità, peraltro evidentemente bassa fin dal principio; per il secondo invece il risultato non è in linea con lo standard del cofanetto, il fruscio sempre presente aumenta e diminuisce a seconda che ci siano dialoghi o meno.
Lavoro nel complesso buono.
Extra
Veramente pregevole il lavoro svolto dai curatori per questa special edition de Il Trono di sangue. L’attenzione è puntata in particolar modo sul rapporto tra il film di Kurosawa e la grande tradizione del teatro No giapponese. Il cofanetto contiene al suo interno il libro del ricercatore universitario Matteo Casari La verità allo specchio. Testo probabilmente unico nel suo genere, il libro è un saggio in forma di diario che nel ripercorrere la personale esperienza dell’autore, allievo per tre mesi a Tokio nella scuola No del maestro Umewaka Makio, mette in evidenza dall’interno le caratteristiche principali di una delle forme di teatro più affascinanti al mondo.
Nel secondo disco si trova il documentario Cinema e teatro No, il Macbeth di Kurosawa, vero punto di forza dell’edizione. Suddiviso in capitoli, arricchito da un’affascinante cornice grafica, il documentario si avvale delle voci di Monique Arnaud, attrice di teatro No, e di Diego Pellecchia, studioso di teatro, i quali, commentando a mettendo a confronto alcune scene e soluzioni del film con le figure e i simboli di veri spettacoli No, restituiscono, tema dopo tema, con chiarezza, la grande operazione culturale da cui nasce il film. La vicenda nera e simbolica di Macbeth, ricca di archetipi come il castello e la foresta, è per Kurosawa la struttura ideale nella quale innestare i meccanismi e le atmosfere del teatro No: i lunghi dialoghi diventano, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, gesti rarefatti, le espressioni del viso raggiungono la stessa valenza significativa delle maschere. I cavalieri sono samurai, ma il Castello rimane il sogno da raggiungere, il luogo da conquistare.
Chiudono gli extra l’edizione italiana originale dei titoli di testa e del coro e le biografie degli autori.
(Komonosu - Di); Regia: Akira Kurosawa; interpreti: Toshiro Mifune, Isutzu Yamada, Minoru Chiaki; distribuzione DVD: Mondo Home Entertainment
formato video: 1.33:1 4/3; audio: Italiano, Giapponese Dolby digital (2.0); sottotitoli: Italiano non udenti
Extra: 1) Libro: Matteo Casari La verità allo specchio 2) Cinema a Teatro Nò, il Macbeth di Kurosawa (durata 40 minuti) con il commento audio di Monique Arnaud, Istruttrice Shihan e attrice di Teatro Nò, e di Diego Pellecchia, Ricercatore del dipartimento di Drama & Theatre Studie presso la Royal Holloway University of London 3) Titoli di testa e coro 4) Biografie degli autori
