DVD - King Kong collection

Una corda shakespeariana vibra, per quanto strano possa sembrarvi, anche nei film di mostri giapponesi del dopoguerra: segno di una strana comunanza d’intenti e di un mutuo sentire che incredibilmente affratella tutto il cinema del Sol Levante (derive commerciali e spettacolari comprese) con le parole fatate del bardo inglese.
Non a caso Honda Ishiro è stato assistente di Kurosawa, il più shakespeariano (prima ancora che il più occidentale) di tutti i registi nipponici. E questo avrà pur voluto dire qualcosa!
Partendo da queste premesse non stupisce che le creature che popolano molte pellicole di genere del cinema giapponese, i vari Godzilla e Kong, gli alieni venuti dallo spazio e i Dagora siano segno di un cinema che, come i personaggi di un Macbeth, è fatto della stessa sostanza degli incubi, figli di quel sonno della ragione che genera mostri e che ci mette a contatto con le paure più grandi del nostro essere al mondo.
Le parole di Amleto che aprono un film come Il trionfo di King Kong (remake con gli occhi a mandorla del film di Cooper e Schoedsack del 1933) servono prima di tutto a questo: a garantire la permanenza del fantastico anche nella realtà contemporanea, a restituire il senso del mistero ad un mondo, come quello sempre più tecnologico del Giappone, che ha già scoperto tutto e che ha già visto tutto quello che poteva essere visto o anche sognato. Perché se ci sono in cielo e terra più cose di quelle che insegna la filosofia (e la scienza), allora può esserci ancora posto, proprio qui, tra noi, per il brivido e per l’incredibile. E poco importa che questo sia, per i film di genere, solo il punto di partenza per fiabesche avventure perché la speculazione, la riflessione ed il pensiero possono arrivare tranquillamente dopo. Diventano materia per i critici e gli storici che recuperano le pellicole dall’oblio, quando la loro funzione di divertimento per bambini si è definitivamente esaurita e il pubblico è già tornato a casa. Sta a noi, anni dopo, come spazzini di un luna park che ha chiuso i battenti dopo l’ultimo spettacolo, riscoprire in quelle immagini naif, in quei mostri animati a passo uno, in quei costumi di lattice che neanche per un momento ti sembrano credibili, il ricordo dell’orrore delle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki e percepire le preoccupazioni dell’uomo che si sente perduto di fronte al futuro spersonalizzante delle metropoli industrializzate.
Ma il cinema di Honda Ishiro non è buono solo per il sociologo. Anche oggi, ad un pubblico ben abituato ad un fantastico reso troppo reale dal tripudio degli effetti speciali digitali, il cinema di questo autore troppo ingiustamente sottovalutato brilla (soprattutto se messo a contatto coi tanti emuli) per la sua volontà di sperimentare, di ibridare e far urtare strategie comunicative e generi tra loro assolutamente diversi.
I due film che hanno per protagonista King Kong, ad esempio, non sono solo il segno di una strategia produttiva nuova (le pellicole sono, di fatto, frutto di un accordo commerciale tra Giappone che ci mette di suo autori e maestranze e l’America che fornisce il suo mostro migliore, qualche attore e soprattutto buona parte dei capitali), ma sono il tentativo di fornire allo spettatore un utopico punto di contatto tra l’estetica cinematografica nipponica ed un’idea di cinema tutta americana.
Questa ricerca di una fusione spettacolare al color bianco di esigenze espressive diverse, la si coglie soprattutto se si guarda la logica strutturale che sta alla base dei due film.
Il trionfo di King Kong (primo film del dittico, datato 1962) è, in questo senso, il film che più si rivela debitore del modello del 1933. Tutta la prima parte della pellicola, è, difatti, una riproposizione dello schema narrativo dell’opera americana, ma, al tempo stesso, essa è anche una trasposizione, in senso tutto nipponico, del genuino sense of wonder che era stato il motivo di fascino del modello. Skull island perde qui parte delle sue fattezze mostruose e terrorizzanti e diviene un luogo popolato da buoni selvaggi pronti a stupirsi per una radiolina che trasmette musica, ma anche pronti a fumare le sigarette che i conquistadores si sono portati dietro. Il confronto tra la realtà culturale degli esponenti del mondo “civilizzato” e quella arcaica degli isolani si offre, così, a gustosi siparietti comici finalizzati prima di tutto a deliziare il pubblico dei bambini, ma presenta in filigrana una visione tutt’altro che banale sul nostro modo ancora balbettante ed egocentrato di concepire il dialogo interculturale. Lo scontro tra il gigantesco primate e Godzilla, che avviene ovviamente sul suolo giapponese, segna il punto d’incontro tra le due anime del film ed è significativo che, in questo primo incontro, a trionfare sia proprio l’anima americana. Godzilla, infatti, quale sintesi delle paure atomiche dell’uomo giapponese, non può vincere sullo “stato di natura” rappresentato, invece, da Kong.
Ma a vincere, in questo complesso braccio di ferro tra idee di cinema diverse, è soprattutto la dimensione spettacolare americana a segno di una colonizzazione culturale in atto di cui, molti anni più tardi, sarà dolente testimone il Kurosawa di Rapsodia in agosto.
L’anima shakesperiana si evince anche dal modo in cui i due mostri entrano in scena. Kong si annuncia, infatti, col crollo di una montagna, con una valanga di detriti terrosi che scivolano rumorosamente davanti all’attonita macchina da presa che riesce appena a registrare l’evento. Godzilla riemerge dal cuore di un iceberg dopo che un sommergibile (segno tangibile della civiltà militarizzata) lo ha speronato. Due frane, insomma, annunciano l’avanzata del mostro. La prima, scura ed ancestrale, è legata alla terra ed alla tradizione, mentre la seconda è bianca e frutto di un incidente tecnologico. Crollano le montagne, nel film di Ishiro Honda, a segnare, proprio come in Shakespeare, la fine di ogni equilibrio. La Natura, sconvolta, ammonisce in questo modo l’uomo e lo riconosce colpevole senza appello di essersi allontanato dalla strada dell’etica e della morale.
Due anni dopo King Kong, il gigante della foresta (che non è un sequel, ma un’opera assolutamente autonoma) segna un passo più deciso da parte della cultura giapponese di appropriarsi del modello americano. Skull Island diventa solo una piccola parentesi iniziale per un racconto che sposta irreversibilmente il proprio raggio d’azione sulla follia dell’uomo che vuole sostituirsi a Dio. Lo scienziato pazzo che costruisce un Kong robot e che brama la conquista del pianeta diventa il vero mostro del film, mentre lo scimmione perde la sua dimensione grifagna (anche per via di una maschera ora più mobile che permette molte più espressioni facciali) e si fa tenero bambinone. Scompare anche la perturbante carica erotica del modello americano. Kong non pensa più alla donna come oggetto di un desiderio sessuale impossibile, ma come figura tenera, come giocattolo dal quale farsi comandare a bacchetta. In questa prospettiva esso/egli può aspirare più decisamente ad una statura eroica, soprattutto quando deve vedersela col suo doppio ferroso di langhiana memoria (Metropolis).
Chiude incomprensibilmente il cofanetto della Mondo Distruggete Kong: la terra è in pericolo. Qui non c’è infatti traccia dello scimmione americano, Kong è solo un altro godzilla acquatico, pacifico e quasi gentile reso minaccia dall’influenza di uno scienziato pazzo comandato a distanza da alieni mostruosi. Questa volta è proprio Godzilla a divenire eroe (in una scena salva addirittura dei bambini troppo curiosi) a segno di un’evoluzione del personaggio estremamente ambigua e stimolante.
Tra modellini incredibili e un genuino artigianato i tre film si rivelano, pur nella lentezza e nelle ingenuità, estremamente godibili ancora oggi. E rivelano una tensione centripeta nei confronti del fantastico estremamente originale visto che il primo scivola spesso nella commedia, il secondo nella spy story mentre il terzo ha, sin dalla prima suggestiva inquadratura della donna sulla scogliera, una vocazione incredibilmente melò.
La qualità audio-video
Le pellicole, di inizio anni ’60, sono incredibilmente datate e la loro appartenenza ad un genere come quello dei film di mostri se da un lato garantisce la presenza di un certo pubblico di nostalgici, dall’altra non spinge i produttori ad un tentativo serio di restauro dei masters. In questo modo i dischi di tutti e tre i film rivelano non pochi difetti dovuti principalmente alle condizioni abbastanza precarie delle pellicole. In linea generale e senza scendere nei dettagli dei singoli film, si può affermare che il rapporto figure/sfondi sia abbastanza equilibrato e il quadro, che pure risente dell’età dei film, si mantiene discretamente pulito. Sono i colori, semmai, ad essere il punto debole del riversamento. I neri sono poco profondi, con conseguente impoverimento della prospettiva nelle non poche scene notturne, mentre il resto della tavolozza cromatica suona sfalsato come in vecchio VHS un poco usurato. Puntinature e quadrettature dello schermo sono, fortunatamente rari a segno di un lavoro di compressione non troppo invasivo.
Per quel che attiene al suono c’è da dire che la masterizzazione in 5.1 non sempre giova alla resa degli effetti sonori sempre un po’ artigianali e goffi di questo genere di film. L’unico mostro che ne esce discretamente bene è solo il Kong del terzo dvd col suo verso da uccello acquatico grazioso e femminile. I nostalgici faranno bene ad affidarsi alle due tracce mono, poco spaziate, ma con tutto il sapore di una vecchia sala fumosa e polverosa.
Extra
C’è poco da dire sugli extra dei film. I pacchetti sono standard per tutte le edizioni della serie (che si avvalgono oltretutto dello stesso menù animato non proprio eccezionale, ma funzionale). Il pacchetto completo prevede Trailer originale, galleria fotografica, Titoli di testa in versione italiana e Manifesto cinematografico. Ma non tutti i film del cofanetto possono dirsi così fortunati.
(Kingu Kongu tai Gojira), (Kingu Kongu no gyakushû), (Mekagojira no gyakushu); Regia: Ishiro Honda; interpreti: Ahikiko Hirata, Kenji Sahara, Linda Miller, Rhodes Reason, Tadao Takashima, Tomoko Ai; distribuzione dvd: Passworld
formato video: 2.35:1 16/9; audio: Italiano (dolby digital 5.1 e 1.0), Giapponese (1.0); sottotitoli: italiano
Extra: 1) Trailer cinematografici giapponese 2) Gallerie fotografiche 3) Manifesti cinematografici 4) Titoli di testa in versione italiana
