X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



DVD - L’isola dell’ingiustizia

Pubblicato il 30 ottobre 2007 da Alessandro Izzi


DVD - L'isola dell'ingiustizia

La retorica del film umanista - carcerario – processuale di stampo americano segue una logica decisamente spietata. Un percorso di abiezione, reazione e riscatto (le tre fasi entro cui si muove il percorso dell’eroe dapprima ingiustamente condannato, poi salvato dalla sua stessa forza di volontà) che oggi, quando ancora bruciano sugli occhi i ricordi delle torture consumatesi nelle carceri di Abu Ghraib, finisce per piegare le nostre labbra al più amaro dei sorrisi.
Alcatraz è stato certamente uno degli scempi più grandi della cultura americana del tempo, un abominio e un crimine contro l’umanità la cui grandezza ancora ci segue e ci ammonisce di lontano (ma non abbastanza visto che Guantanamo è, invece, a due passi). E uno dei meriti sicuri di una pellicola come L’isola dell’ingiustizia (film del 1995 riproposto ora in un’edizione dvd abbastanza basica) è certamente quello di inquadrarne il significato storico e sociale cercando di metterlo a contatto con gli altri abomini del tempo. Quello che vede il massimo “sviluppo” di Alcatraz è, infatti, un periodo storicamente complesso. L’Europa sta precipitando nell’orrore della Seconda Guerra Mondiale, i primi campi di concentramento stanno aprendo ufficialmente i loro battenti, in America la Grande Depressione ancora agita gli stendardi della fame e della povertà. È un periodo senza sicurezze: il lavoro è poco, i crimini si moltiplicano e l’elettorato chiede a gran voce una qualsiasi forma di contenimento dei crimini più violenti. L’idea di un carcere di massima sicurezza che si presti al pubblico come immagine di assoluta efficienza, come prigione dalla quale è impossibile evadere, è una risposta precisa del governo a quelle che erano le ansie e le paure che serpeggiavano ovunque nel tessuto sociale americano. Insomma Alcatraz nasce, esattamente come Guantanamo, in risposta ad un generale clima di terrore. È la risposta diretta di una minaccia che preme indifferentemente dall’esterno (i terroristi di oggi come gli immigrati di ieri) e dall’interno (i criminali di sempre) e che sembra costantemente sul punto di esplodere in maniera violenta.
Non ha sostanzialmente importanza quanto abietti possano essere i crimini che si consumano dietro le mura di questi istituti di detenzione (gli americani sembrano essere esperti enciclopedici nell’esercizio di quel vecchio detto che recita “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”), l’importante è che le mura di questi edifici non abbiano crepe.
Passato, però, il primo momento di sostanziale paura, quando l’americano medio getta uno sguardo all’interno delle prigioni e scorge le delle d’isolamento, le foto delle torture inflitte ed altri orrori consimili che subito scatta un’onda opposta che rimette tutto in discussione. Perché l’americano ha bisogno di sentirsi buono, ma per farlo, e qui c’è l’assurdità di un orrore mascherato dal così detto “buon senso”, ha bisogno di essere messo di fronte ad una falla del sistema (il classico innocente accusato ingiustamente) perché sembra essergli impossibile comprendere l’orrore del sistema in sé. Non basta che gli si dica che la tortura è la peggiore delle abiezioni perché, se ad essere torturato è un assassino di vecchiette, in fondo, non c’è nulla di male. Per lui è fondamentale immedesimarsi nella concreta situazione in cui un innocente o un quasi innocente, si trova bloccato nel sistema. In questo modo il discorso scivola dai massimi sistemi del pensiero (troppo incomprensibili) al mero caso esemplificativo che mette in crisi le nostre coscienze, ma lascia sostanzialmente intatto il sistema che lo vede nascere.
La prima condizione di partenza è dunque l’innocenza dell’eroe e non a caso il povero protagonista di L’isola dell’ingiustizia era finito in carcere solo per aver rubato una manciata di dollari ad un ufficio postale. Come si può considerare colpevole uno che ruba appena quel tanto che basta per dar da mangiare ad una sorellina che sta morendo di fame? Creato il presupposto dell’innocenza del protagonista (che è un sostanziale falso storico visto che ad Alcatraz non finivano criminali all’epoca così “comuni” come abbiamo già detto e, nella realtà, il vero Henri Young – ché il film si basa su una storia vera – era stato condannato per reati ben più consistenti) si può allora procedere con tutto l’armamentario tipico del film carcerario con, in questo caso, un vieppiù di violenza. Segue, come da copione, il complesso percorso catartico che non può non condurre al riscatto personale.
L’elemento fondante di film di questa sorta è il sostanziale gigantismo. Tutto appare enorme, dall’impiego del cinema scope che sfonda i limiti dell’inquadratura, all’uso insistito del grandangolo che allarga gli spazi, dall’impiego di una macchina da presa incapace di fermarsi sia solo per un momento, ad una colonna sonora che tutto sottolinea con enfasi profonda (ma il sapore di corale per archi ideato di Young ha un’efficacia manierata che travalica i limiti del film). Tutto per sorreggere le performance di attori che guardano da un lato l’immagine liberal che il ruolo che interpretano si porta dietro e che certo non fa male, e dall’altro lato pensano all’Oscar. In tutto questo gigantismo, però, sprofonda l’anima più vera del film e la riflessione sembra essere ingabbiata da una regia che sembra alla costante ricerca di sbarre da inquadrare anche laddove non ce ne sono affatto.
Resta alla fine un film perfetto per le scuole, per i cineforum impegnati e per una serata di improvvisa serietà con gli amici stanchi di vedere sempre e solo film di Dario Argento. Ma non è niente più del solito film col quale gli americani vogliono lavarsi la coscienza cercando di sentirsi un pochino più buoni.

La qualità audio-video

Discreta la qualità del riversamento del film anche se non si può non rimarcare come, nelle scene più buie che poi sono la maggior parte, l’immagine tenda a farsi improvvisamente ed ingiustificatamente piatta.
Discreto anche il suono. Si consiglia la traccia originale solo per poter meglio apprezzare il lavoro degli attori.

Extra

Dietro titoli che promettono riflessioni storico/critiche su Alcatraz e gli orrori che in essa si consumavano, si nascondo niente più che delle piccole, ma graziose featurette del film. Niente di fondamentale, ma riempiono il disco e si lasciano guardare. Ma una volta sola.


(Murder in the first); Regia: Marc Rocco; interpreti: Kevin Bacon, Christian Slater, William H. Macy, Gary Oldman; distribuzione dvd: Medusa - Coralli collection;
formato video: 2.35:1; audio: italiano e inglese dolby 2.0; sottotitoli: Italiano per non udenti;

Extra: 1) Speciale 2) Backstage 3) Interviste 4) Trailer e Spot


Enregistrer au format PDF