DVD - L’uomo dell’anno

Se con Death of a president il cinema si è “divertito” a mettere in scena la morte di un presidente reale (Bush), con L’uomo dell’anno il gioco si sposta, invece, sull’apparente paradosso dell’elezione alla massima carica statale, di un comico televisivo.
L’idea, di per sé, è vecchia quasi quanto la monarchia. Che un giullare possa, infatti, diventare re è una di quelle corbellerie di cui sono pieni i canovacci e le cronache teatrali del Medioevo e del Rinascimento. È qui, infatti, che assistiamo per la prima volta al trionfo del Rovesciamento, alla logica Carnevalesca che sovverte, sia pure solo nello spazio della rappresentazione teatrale, tutte le regole prestabilite e pone ai vertici della cosa pubblica ciò che naturalmente dovrebbe essere ai suoi antipodi.
Il principio, al quale si adegua anche il Barry Levinson di questa sostanzialmente innocua fantasia sul potere, è contemporaneamente quello della totale “alterità” e del sostanziale “rispecchiamento”. Il comico, infatti, si riconosce come corpo estraneo rispetto a quelli che sono i politici consumati e di professione: è fresco, irriverente, assolutamente non ingessato e del tutto incapace di rispettare le regole codificate dell’agone politica (si pensi alla scena del dibattito televisivo, per inciso forse la più riuscita di tutta la pellicola). Dall’altra parte, però, riconosce, nella politica e nei politici (in specie in quelli di nuovissima generazione) la stessa propensione allo spettacolo, la stessa fame di ampie e variegate platee. In altre parole il giullare decide di scendere in politica non solo perché ha un programma valido e “dalla parte dell’elettore”, ma soprattutto perché vede che anche gli altri candidati non sono poi nient’altro che “attori”.
Come nelle commedie rinascimentali e nei giochi paradossali che allietavano le corti d’un tempo, la fantasia ludica occupa solo lo spazio di una breve parentesi. Il corpo estraneo, anzi: quel vero e proprio anticorpo sociale che è il comico, infatti, viene immediatamente ributtato ai margini dall’organismo comunitario. Dopo aver indossato per un troppo breve periodo la corona del re, il giullare viene sempre rigettato nella polvere e costretto ad impugnare nuovamente il suo finto scettro riprendendo, con questo, il suo posto in un regno di ameni intrattenimenti. Lo status quo si ritrova così confermato, ma non dopo che la storia esemplificativa di come labile sia la nostra posizione nei piani del creato non ha fornito un più che valido ammonimento a tutti i convenuti. Così mentre il volto del comico viene solcato da una giusta lacrima che è segno della compiuta consapevolezza della propria tragedia (“Non sono nient’altro che un buffone. Questo è il mio posto”), il viso dei potenti può piegarsi ad un sorriso di maggior consapevolezza dei propri limiti e di maggiore carità (“Anche se Re sono anch’io un Uomo). E sarà forse per questo che, nel film, l’happy ending prevede che il governo del presidente rieletto dopo che il comico ha ripreso il suo posto sia il migliore degli ultimi decenni.
La differenza tra le commedie rinascimentali e il film di Levinson è, quindi, tutta nel contesto. La corte è sostituita dalla Realtà sociale americana che, per sua natura, sembra essere del tutto inattaccabile dai germi del dubbio sulla propria stessa legittimità. Il sistema democratico delle libere elezioni, infatti, non può essere messo in discussione in alcun modo e l’elettorato stesso, da Capra in poi, non può essere preso in giro. Che il buffone dichiarato sbaragli la concorrenza dei due buffoni mascherati da politici perché eletto da tutti regolarmente è, fin dall’inizio, assolutamente fuori discussione. Ecco allora che, affinché si avveri il miracolo dell’elezione di un comico a presidente degli Stati Uniti, occorre un deus ex machina: un bug nel sistema informatico di conteggio dei voti. Nel Rinascimento tutto succedeva perché il principe aveva voglia di divertirsi un poco, nella realtà americana tutto accade per l’impersonale incapacità di un computer.
Il film ha molte anime e non tutte si sposano bene tra loro. Il passaggio dalla dimensione comica ed irriverente dell’inizio alla commedia romantica che si tinge di venature da legal thriller è spesso forzato. E anche la morale sul sistema televisivo in cui tutto assume pari (in)dignità (in prima serata possono essere accostati tanto lo storico della Shoah quanto il nazista negazionista senza che la bilancia della verità penda per l’uno o per l’altro) sembra più detto che “sperimentato”.
Peccato perché Robin Williams gigioneggia bene anche se non sempre riesce a tenersi il peso del film sulle spalle.
La qualità audio-video
Italiano ed inglese si avvalgono entrambi di una limpida codifica in 5.1. Chi conosce molto bene l’inglese (perché il film ha dialoghi davvero serrati cui è difficile tener dietro) farà bene ad affidarsi all’audio originale perché non sempre i doppi sensi vengono tradotti bene in italiano.
Buono il riversamento video coi suoi colori brillanti e i neri giustamente profondi. Purtroppo, però, qua e là la nitidezza viene meno e il quadro si fa un poco sfocato, ma sono brevi momenti.
Extra
Un making of di discreta fattura e un “Ritratto di Robin Williams” che altro non è che una serie di interviste a regista e cast sulle abilità di improvvisatore del comico americano. Piacevole e spesso curioso, ma sconta la sua effimera durata di appena dieci minuti.
(Man of the Year); Regia: Barry Levinson; interpreti: Robin Williams, Laura Linney, Jeff Goldblum, Faith Daniels, Tina Fey, Linda Kash, Lewis Black, David Alpay, Christopher Walken. distribuzione dvd: Medusa; formato video: 1.85:1; audio: italiano (5.1);inglese (5.1) sottotitoli: italiano per non udenti.
Extra: 1) Making of 2) Ritratto di Robin Williams 3) Galleria fotografica 4) Trailer
