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DVD - Nostos, il ritorno

Pubblicato il 18 settembre 2008 da Alessandro Izzi


DVD - Nostos, il ritorno

La grande sfida di un film come Nostos sta tutta nel trovare la giusta distanza della macchina da presa rispetto alla materia narrata.
Come riuscire, infatti, a recuperare il senso della visione degli antichi greci? Come riuscire a restituire il senso di stupore dell’Uomo di fronte ad una Natura che era, al tempo, ancora tutta da esplorare e conoscere? Come rendere lo sgomento di fronte all’immensità all’interno di un cinema che ha già mostrato tutto il mostrabile e che ha riportato ogni cosa nel piano del quotidiano, del razionale, del noto?
La sfida di Nostos è, da questo punto di vista, trovare un vero e proprio occhio vergine, legarsi ad uno sguardo ancora bambino (perché solo ai bambini è dato ancora di potersi stupire di fronte al nuovo), ma già venato della profondità filosofica di chi sa di non essere più nell’eterno presente dell’infanzia.
Piavoli risponde a questo bisogno herzogghiano di trovare uno sguardo non compromesso dall’abitudine alla visione e al cinema mediante un approccio molto rigoroso e quasi “monodico” della messa in scena. In Nostos le cose vanno osservate o visionate una alla volta e mai tutte insieme perché solo concentrando l’attenzione sul singolo dettaglio è possibile illuminarlo di luce nuova. Al cinema barocco che punta su una sinfonia di sollecitazioni audiovisive che si svolgono contemporaneamente sulla superficie dello schermo stordendo il proprio spettatore in un’esperienza sinestetica, il regista oppone uno sguardo (ed un orecchio) votati alla singola sensazione, al singolo dettaglio che, ingigantendosi oltre misura nella nostra percezione, ci spinge verso un’esperienza di carattere contemplativo.
Questa propensione è evidentissima soprattutto quando si analizza la componente sonora della pellicola.
Piavoli rivolge, infatti, un’attenzione particolare all’impaginazione dei suoni del suo capolavoro. Il rumore, in particolare, diventa una componente irrinunciabile del discorso, un vero e proprio pilastro su cui andare a comporre la dimensione evocativa e misterica del film. Sono due le figure sonore che fondano l’universo auditivo del film: da una parte il suono di Natura (il basso continuo che pervade l’intera pellicola), un suono affine al silenzio, dall’altra ci sono i rumori prodotti dall’ingegno umano, un prolungamento quasi della voce dei personaggi messi in scena. Questi ultimi (e qui sta l’aspetto più originale del lavoro) vivono isolati l’uno rispetto all’altro, sono “eventi” che galleggiano nella superficie piana del silenzio del mare (fitto di sciabordii, di un leggero soffiare di brezza e di qualche strida di gabbiano) a rivendicare una dimensione “altra”. Sono il segno della cultura umana che interrompe, in modi sempre cangianti, la pianezza di una natura altrimenti votata al silenzio o alla ciclica ripetizione dei suoni. Il rumore delle sartie, così composto, così innaturalmente amplificato e portato in primo piano dal regista, assume in questo modo una portata esemplare: è davvero il suono mitico dell’eroe, è davvero il prodotto di una delle prime imbarcazioni umane che solcano le acque di un mare al tempo ancora sconosciuto.
I suoni vivono, così, in uno spazio di frattura rispetto all’immagine. Certo sono il prodotto di quelle cose che vediamo in scena, ma sembrano porsi sempre in una dimensione acusmatica, sembrano sempre pronti a svincolarsi dall’immagine delle cose e a fluttuare nel vuoto, come divinità naturali. Sono, di fatto, le voci di una Natura eterna ed inattingibile.
Se il rumore assume connotazioni musicali e si fa voce, la voce umana, in Nostos, subisce un’operazione inversa. Essa si fa mero rumore, un accidente momentaneo nel piano sonoro della pellicola, un evento contrapposto, ma contenuto nel suono eterno ed epifanico della magica Natura. Piavoli rinuncia alla dimensione esemplificativa della voce umana. Sceglie di far parlare i suoi eroi in una lingua che non esiste, composta sulle suggestioni sonore di alcune antiche lingue del mediterraneo. I suoi dialoghi, sempre ad un passo dal borbottio puro e semplice, perdono quasi ogni connotazione psicologica ed assumono una componente archetipica.
Le musiche, infine, irrompono nello spazio sonoro in maniera del tutto inaspettata. Dal Borodin che accompagna i ricordi di Ulisse ai cori monteverdiani che seguono il percorso dei marinai, tutto è all’insegna dell’inaspettato, del nuovo, dell’originale. La musica, così, non commenta più l’azione, ma assume la posizione di uno sguardo sull’immagine, è un vero e proprio punto di vista sonoro sul narrato. Di qui anche la sua straordinaria eterogeneità che spazia dal seicento italiano al Novecento dodecafonico.
Un analogo processo di focalizzazione della percezione lo ritroviamo anche nel modo in cui viene composta l’immagine. Le inquadrature si susseguono secondo un percorso che limita al massimo la presenza di campi lunghi e concentra molto l’attenzione sui primi piani e i dettagli. Le figure vengono sempre riportate alla loro componente mitica attraverso riferimenti incrociati che vanno da precise fonti pittoriche (la cultura iconografica del regista è davvero sterminata) a rimandi a giochi teatrali di luci e di ombre (la scena della tempesta è risolta tutta in primi piani). L’immagine viene spesso anche deformata e manipolata con sovrapposizioni e filtri che permettono di esasperare lo sgomento umano per la presunta presenza del divino nel piano del creato.
Questa scelta registica conduce ad un racconto necessariamente molto franto e frammentario. La storia si compone nella sommatoria di episodi isolati e distinti da cui emergono, però, alcuni temi di fondo:
1) il tema del ritorno (che fa rima con quello della memoria e del ricordo) composto sulle suggestioni della musica di Borodin e sul ricorso a colori caldi e luminosi. Un ritorno alla propria heimat che è anche un ritorno all’utero (celeberrima la scena di Ulisse che nuota nel mare notturno raggiungendo, quasi fosse uno spermatozoo, l’ovulo rappresentato dal riflesso, sulle onde, della luna piena), verso una moglie che è anche madre.
2) Il tema della Guerra esemplificato in un’unica possente sequenza (notturna e concitata), ma presenza sotterranea ineliminabile.
Figure stilistiche, idee, pensieri che, a pensarci, accomunano l’opera di Piavoli più che ad altre esperienze del nostro cinema, alla grande poesia del Leopardi. A segno di un’ambizione non comune.

La qualità audio-video

Discreto il riversamento della pellicola. Il dvd presenta il film in un formato 1.33:1.
Buono l’audio.

Extra

Molto bella e densa l’intervista al regista. Meno interessanti le schede scritte che accompagnano il film.


(Nostos. Il ritorno); Regia: Franco Piavoli; interpreti: Luigi Mezzanotte, Branca De Camargo, Paola Agosti, Giuseppe Marcoli; distribuzione DVD: Medusa Home Enterteinment
formato video: 1.33:1; audio: Italiano Dolby digital 2.0

Extra: 1) Intervista a Franco Piavoli 2) Sinossi del film 3) Schede


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