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DVD - Occupation dreamland

Pubblicato il 25 giugno 2007 da Alessandro Izzi


DVD - Occupation dreamland

Un viaggio organizzato nell’inferno iraqueno. Sembrerebbe una contraddizione in termini ed è, invece, il punto di partenza del bel documentario di Garrett Scott e Ian Olds dal sintomatico titolo Occupation dreamland.
La contraddizione sta tutta nella parola “organizzato” che, campeggiando come ironico sottotitolo italiano dell’opera, rimanda, con sorniona ambiguità anche all’idea di “autorizzato” e, ancor più, di “pilotato”. Un dubbio, infatti, si impadronisce della nostra mente di spettatori e, per tutto il corso della proiezione, non ci abbandona più: se il governo americano, che ha tenuto ben chiuse le porte di Guantanamo, ha accettato che si riprendesse per un certo tempo la vita quotidiana di un plotone di soldati in stanza nella città di Falluja vuol dire che, forse, non c’era poi molto, in quella stessa realtà che un pubblico nutrito a pane e propaganda non dovesse vedere.
Non che ci sia censura, intendiamoci, non che gli autori, da bravi documentaristi, non siano spinti dal puro desiderio di mostrare le cose così come sono, ma non riesce ad abbandonarci, nel corso della proiezione, l’impressione che, nella migliore delle ipotesi, quella realtà spietata che scorre sotto il nostro sguardo, sia esplicitamente modificata dallo sguardo “giudicante” e “non indifferente” della macchina da presa.
Quello che affascina di un film come Occupation dreamland è proprio lo statuto ambiguo dell’atto del filmare. Perché si ha sempre l’impressione che ciò che passa sotto l’occhio apparentemente freddo e fenomenologico della macchina da presa, subisca una sorta di operazione di mistificazione, che tenda a diventare, più o meno consapevolmente e più o meno colpevolmente film.
La macchina da presa, infatti, sembra interferire troppo col narrato, sembra diventare in maniera troppo ingombrante parte dell’azione. E, quindi, non può non spingere i poveri ragazzi del plotone ad un’operazione di costante autorappresentazione, spesso di vera e propria autocensura.
Avviene quando, anche per via della loro giovane età, nell’interagire con gli abitanti della città, finiscono per assumere un ruolo (quello del soldato un po’ esaltato o quella del militare buono che cerca un contatto fattivo e un rapporto con un ‘altro’ che pure non può fare a meno di temere). Ma avviene soprattutto quando il campo del discorso comincia a scivolare dal terreno apparentemente innocuo del vissuto quotidiano verso quello infido della politica. Si percepisce chiaramente, in questi momenti volutamente ricercati dalla macchina da presa, come i ragazzi abbiano desiderio di esprimere il loro malcontento per una situazione che si sta spingendo troppo oltre, ma che sono impossibilitati a farlo perché non possono dimenticare di essere, comunque soldati dell’esercito americano. Si percepiscono chiaramente i loro dubbi sui veri scopi della guerra (la conquista dei pozzi di petrolio), ma si percepisce anche il dolore di dover ammettere questa cosa prima di tutto con se stessi perché nessuno di noi vorrebbe davvero essere parte integrante e funzionale di una guerra così biecamente sporca. In questi momenti esemplari si capisce come la realtà tenda a mettersi in scena di fronte alla macchina da presa. La presenza stessa dallo sguardo della macchina modifica il mondo filmato, lo rende a suo modo una bugia. Piccola quanto si vuole, ma pur sempre una bugia che in molti (gli autori in cerca di una loro verità, gli attori in cerca di una definizione, il governo stesso in cerca di un’impressione di legalità) hanno manipolato.
La manipolazione si muove poi anche su altri fronti. Si ha sempre l’impressione che la macchina da presa venga attivata da autori che sono, comunque, in cerca non solo della realtà, ma anche del ‘momento forte’, della piccola tragedia da mostrare. Quando il piccolo miracolo avviene, quando, cioè, la macchina da presa riesce a sorprendere un’esplosione che ha luogo proprio davanti alla colonna dei mezzi dell’esercito in marcia su una strada cittadina, i registi non sanno resistere alla tentazione e ripresentano l’immagine al pubblico due volte, al ralenti. All’evento accidentale e fortunato subentra, quindi, la messa in scena dell’evento. La realtà si è fatta finzione.
In questi interstizi ambigui riposano tutti i motivi di interesse di un’operazione comunque meritevole. Perché il film sembra essere prima di tutto la storia di un pugno di uomini obbligati a combattere contro un nulla annichilente (quello di una città ostile e silenziosa). Ed è proprio nella rappresentazione di questo nulla contro cui non si capisce bene perché si debba combattere che il film concentra tutta la sua forza polemica.

La qualità audio-video

Buona la qualità del riversamento. Le riprese in digitale vengono restituite in tutta la loro freddezza di documento senza che si palesino eccessivamente i segni della compressione.
Discreto anche l’audio rigorosamente originale.

Extra

Qualche scheda scritta. Niente di trascendentale


(Occupation dreamland); Regia: Garrett Scott e Ian Olds; film documentario; distribuzione dvd: Cecchi Gori / Fandango;
formato video: 4/3; audio: originale (Dolby digital 2.0); sottotitoli: italiano.

Extra: 1) Trailer originale 2) Concorsi 3) Sinossi 4) Premi 5) Cast tecnico e relative biografie


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