DVD - S 21 La macchina di morte dei Khmer rossi

Tra tutti i genocidi che hanno macchiato la storia del secolo appena trascorso, quello cambogiano è, probabilmente, il meno conosciuto e il meno metabolizzato. Un po’ come è avvenuto per l’invasione cinese del Tibet, anche sull’orrore che si è protratto nell’arco di quattro anni (tra il 1975 ed il 1979) in Cambogia è stato steso un velo di spietato, disperante oblio. L’occidente, in questo periodo di sangue e di morte, ha sempre volto gli occhi altrove, incapace a trovare nelle pure ragioni umanitarie un pungolo sufficiente per intervenire in una situazione politica che si faceva, da problematica qual’era sempre stata, puramente incandescente. Eppure, col senno di adesso, le cifre parlano chiaro e parlano un linguaggio che non ammette repliche o scuse di sorta. Su sette milioni di abitanti, due sono stati sterminati: quasi un terzo dell’intera popolazione.
Non bastassero le cifre c’è poi sempre il terribile slogan che compariva sulle mura dei campi di prigionia: “La ruota della storia avanza. E’ impossibile impedirle di passare senza essere schiacciati” una frase beffarda che non può non fare il paio con la ben più celebre “Arbeit macht frei” che ancora campeggia sulla cancellata d’ingresso di Awschwitz.
Rithy Panh (Phnom Penh, 1964) racconta questa storia da anni ormai aspettando che noi lo si ascolti. Lo ha fatto nel toccante documentario di denuncia (S 21 La macchina di morte dei Khmer rossi) che è stato recentemente editato in questa bella edizione della Feltrinelli Real Cinema, lo ha ripetuto poi in un libro, scritto a quattro mani con la scrittrice francese Christine Chameau che ha vissuto per ben tre anni in Cambogia, che condivide con il documentario titolo e ricerche sul campo. È anche al suo indefesso lavoro di raccolta di testimonianze e di interviste ai sopravvissuti se oggi una formula come “Khmer Rossi” è diventata tristemente parte del nostro vocabolario. Del resto Rithy Panh è uno di quelli che la storia se l’è vissuta sulla propria pelle. Internato dal regime in un campo di detenzione per essere rieducato, il futuro regista riuscì a scappare solo nel 1979, poco prima della chiusura e della liquidazione dei campi.
Il suo documentario ha, quindi, per questo, un sapore di verità dolente e pudica che non può lasciarci indifferenti. Il regista, infatti, non si limita ad informarci di un orrore che rischiava altrimenti di essere dimenticato dalla storia, ma va ben oltre, cercando con immagini che hanno la violenta carica di realtà del digitale, il proprio passato e la propria storia. Per lui, immergersi nel racconto degli anni di prigionia e di sterminio non significa solo ripercorre le tappe salienti della storia recente di un popolo, ma anche rivivere il proprio passaggio dall’infanzia al mondo adulto (internato bambino riuscì a scappare che era appena adolescente). Storia collettiva e storia personale si confondono, ma in modo pulito, con l’ansia che la prima sia sempre in primo piano rispetto ad una seconda che resta più nello spazio del non detto e del non raccontato.
La vicinanza storica degli eventi narrati rende poi possibile una cosa altrimenti impensabile: la possibilità di intervistare i carcerieri e gli aguzzini oltre che le vittime. Anzi le scene più dilanianti e sofferte del documentario sono proprio quelle in cui i carnefici e i sopravvissuti vengono riportati nei luoghi dell’orrore a ricordare, insieme, la dinamica degli eventi. È la scoperta della memoria del corpo (come dice con lucidità Rithy Panh in un’intervista ospitata nel libro che accompagna il dvd), una memoria incapace di mentire, che attualizza il passato e lo rende vivo e palpabile. Il momento cinematograficamente più utopico di un film il cui unico scopo resta, comunque, quello di registrare per conservare.
Un film la cui visione andrebbe imposta nelle scuole.
La qualità audio-video
L’opera, girata integralmente in digitale, non prestava particolari problemi per la compressione. L’immagine appare sempre nitida e pulita e il quadro sembra essere sempre sufficientemente profondo.
Anche il suono appare ben restituito su disco. L’unica traccia (in lingua originale, dolby digital 2.0) è abbastanza ben bilanciata e restituisce tutte le sfumature di una presa diretta spesso un po’ precaria.
Extra
Il libro (Cambogia, dentro lo sterminio, a cura di Benedetta Tobagi) che accompagna il dvd non è quello scritto a quattro mani dal regista con la scrittrice francese Christine Chameau. Una scelta saggia che evita ripetizioni tra la proposta audiovisiva e quella più strettamente editoriale.
Su disco, invece, l’unico contenuto speciale è la lezione di Marcello Flores sul genocidio. Un intervento interessante e tragicamente attuale.
(S-21,la machine de mort khmère rouge); Regia: Rithy Panh; distribuzione dvd: Feltrinelli; collana: Real Cinema
formato video: 1.33:1; audio: Dolby Digital 2.0 (originale) sottotitoli: italiano per non udenti
Extra: 1) Libro: Cambogia, dentro lo sterminio 2) Genocidio: lezione di Marcello Flores
