DVD - Una tomba per le lucciole

“La sera del 21 settembre 1945 io morii”. Attraverso questa frase lapidaria pronunciata dal protagonista, il quattordicenne Seita, si viene immessi brutalmente nel contesto di uno degli anime che hanno riscosso maggior successo in Patria e insieme una delle opere più struggenti che possiate immaginare. Un avvio che contraddice in pieno il dettame (tutto occidentale, a dire il vero) secondo il quale un cartone animato non dovrebbe turbare gli animi dei giovanissimi, toccati anzi una volta di più da questa tragica vicenda che elegge a suoi protagonisti proprio due bambini.
Il ragazzo e la sorellina Setsuko, quattro anni appena, ripercorrono in veste di fantasmi i luoghi della loro breve esistenza, ripercorrendo a ritroso i loro passi sfortunati fino al fatale bombardamento di soli tre mesi prima, quello che costerà la vita alla madre. Di lì in avanti si susseguiranno visioni macabre come difficilmente capita di vedere perfino in un film di fiction: corpi carbonizzati dalle bombe, cadaveri di bambini accartocciati e ricoperti dalle mosche sul pavimento della stazione. Immagini insostenibili, anche se nessuna arriva ad eguagliare quella delle larve che fuoriescono dalle bende insanguinate del corpo a brandelli della donna. Mai prima di allora, ma del resto neppure in seguito, un cartone animato aveva rappresentato con tale crudezza, crudeltà perfino - dato che di bambini si tratta - un orrore simile. Le tavole pullulano allora di macerie, barelle, di personaggi feriti, malati. La fotografia è livida e spietata, tetra come il sinistro pulviscolo che satura l’aria e tinge di fumo perfino il cielo, alimentando l’orrore di una rappresentazione che non concede via di fuga allo spettatore, ingenerando un malessere crescente.
Isao Takahata, come il più illustre collega nonché socio Miyazaki, affronta di petto il tema della guerra, ossessione centrale nella produzione di tanti cineasti della medesima generazione. Lo fa tuttavia attraverso uno stile documentaristico e non ‘trasfigurato’ come avviene invece d’abitudine nell’opera dell’autore de Il Castello Errante di Howl. Quella di Takahata è al contrario, una sensibilità di marca genuinamente realista. Laddove Miyazaki dipinge i suoi “mondi altri” dei suoi inconfondibili fucsia o verde speranza, popolandoli di personaggi capaci di librarsi leggeri in volo sopra qualsiasi bruttura, (perfino di Porco Rosso, l’opera più storicamente caratterizzata, è protagonista un maiale aviatore) Takahata restituisce i marroni e i grigi più ‘veri’ e lega indissolubilmente alla terra, facendo dipendere in larga misura da essa, la sorte dei suoi protagonisti. Basterebbe una rapida scorsa al modo antitetico in cui i due autori dipingono i rispettivi cieli, per rendersi conto della diversa sensibilità che li contraddistingue. Correva l’anno 1988 e le animazioni dello Studio Ghibli avevano già raggiunto risultati prodigiosi, come si noterà nell’eccezionale mobilità ed espressività dei volti dei personaggi. Il regista è del resto coadiuvato dal grandissimo lavoro del direttore artistico Nizo Yamamoto e dal suo eccellente staff di collaboratori.
Infinita la cura dispiegata per i dettagli. Takahata intuiva quanto nella riuscita del film risiedesse proprio nell’attenta riproposizione d’insieme, non tanto per quanto concerneva l’impianto storico ma nella resa di quella particolare atmosfera, di un modo di vivere ormai estinto. Si guardi come la bimba Setsuko compie ogni più piccolo gesto: il modo in cui ripone i suoi ‘gioielli’ nella borsetta o come si sfila di dosso goffamente i vestiti prima di fare il bagno. L’amore per i personaggi traspare ad ogni scena, mentre Takahata segue con commossa partecipazione eppure con singolare pudore i due fratellini mentre precipitano inconsapevolmente nell’abisso.
Principale estimatore e, al contempo, primo a stupirsi per i risultati conseguiti dal film è Akiyuki Nosaka, l’autore del romanzo Hotaru no Hata da cui l’anime è tratto. “La Kobe di questi anni che io stesso avevo scordato mi è davvero tornata davanti agli occhi. Il ragazzo, il viso della bambina affamata, i volti degli adulti di quegli anni, erano tutti lì. Per questo mi sento di dire: ‘I cartoni fanno paura!’”
Perché, al di là dell’eccezionale lavoro di ricostruzione condotto da parte dei collaboratori, impegnati a riprodurre financo l’usura delle maniglie degli armadi o i sedili lustri dei tram, poi Takahata si muove su un piano altamente simbolico che non stride affatto con gli effetti raggiunti sul piano del realismo e giunge ad affidare ai gesti dei vari personaggi il suo commento alle vicende narrate. Cosa renderebbe, ad esempio, in maniera più efficace rispetto a quel particolarissimo ‘modo’ in cui il sorvegliante alla stazione si disfa del ‘tesoro’ del ragazzino appena morto (la lattina che contiene all’interno le lucciole)? Un gesto semplicissimo, rivelatore però della stessa insensibilità, del medesimo disinteresse dispiegato da parte degli adulti ai problemi di quei ‘bambini invisibili’ quand’erano ancora in vita. La scaglia lontano, mimando il gesto di un lanciatore di baseball. Vale a dire, giocando. Come fosse un bambino, con la stessa leggerezza o sconsideratezza di quest’ultimo, a cui però non ha diritto, sembra dire, rimproverandolo, Takahata. Perché loro, i bambini invece, erano stati costretti a lavorare e procacciarsi il cibo per la sopravvivenza, senza essere in grado di farlo. Tra i giochi prediletti dalla piccola Setsuko, non a caso, c’era quello di fingersi un fantasma, cosa che si avvererà di lì a poco oppure un soldato, con quell’elmetto recuperato chissà dove che però le scivolava sempre via dalla testolina, perché “troppo grande” per lei. Non pare necessario aggiungere altro a tali squisite notazioni ‘in punta di matita’. E così Takahata non appesantisce il suo discorso con tirate moralistiche o futili ‘pedagogismi’, riuscendo a dire, in compenso, tanto di più.
D’altro canto il giudizio sulla follia della guerra è espresso in maniera esemplare fin nella scelta del soggetto, in cui viene messa in scena una logica che arriva a sacrificare perfino la vita dei bambini. Il che è tutto dire.
La qualità audio-video
La cosa più riuscita di questa edizione DVD è probabilmente la ricostruzione in 5.1 dell’originale audio registrato in Mono. Il suono risulta avvolgente, ricco, corposo e quasi mai distorto. Un ottimo lavoro.
Anche l’immagine mantiene una grana e una nitidezza ai confini dell’eccellenza. Solo alcune scene particolarmente dominate dai neri soffrono nella compressione. Il resto è quasi perfetto.
Extra
Vero punto debole della proposta è nei contributi speciali. Assolutamente nulla.
(Hotaru no haka); Regia: Isao Takahata; distribuzione DVD: Yamato video formato video: 16/9 latterbox; audio: Italiano Dolby Digital 5.1* - Italiano Dolby Digital 1.0 - Giapponese Dolby Digital 1.0 - *Audio ricostruito in 5.1 da master originale mono; sottotitoli: Italiano
Extra: assenti
