DVD - Via Montenapoleone

Alla sua uscita Via Montenapoleone fu salutato come uno degli ultimi incontrovertibili segni dell’avvenuta morte del cinema italiano. Sono passati, ormai, venti anni dal fatidico giorno che diede i natali di questo frutto tardivo della commedia italiana e (amaro ammetterlo), in questo lungo lasso di tempo, il nostro cinema sembra non aver fatto altro che continuare a morire d’una morte tanto lenta quanto inesorabile. Un’agonia talmente esasperante e così disperatamente graduale da lasciarci storditi, interdetti e dolorosamente consapevoli che non c’è davvero limite al nostro abituarci al peggio.
Dicevano i primi commentatori di Via Montenapoleone che con questo film si era ormai toccato definitivamente il fondo del buon gusto, che non si era mai vista una pellicola tanto sciatta nella forma quanto discutibile nei contenuti, che il meccanismo coproduttivo che aveva permesso la sua genesi (forte del contributo non certo piccolo di Reteitalia) era perverso nel suo connubio tra ragioni cinematografiche (poche) e il bisogno di adeguarsi alle esigenze di quel palinsesto televisivo che l’avrebbe poi programmato in prima serata. Sottolineavano, poi, i critici del tempo, di quanto povera fosse la cura della confezione, di come tutti gli attori paressero dilettanti imbarazzati dall’indiscutibile pochezza del copione e di come la stessa idea di fondo che animava l’opera (ambientare una ronde sentimentale nel mondo dell’alta moda milanese) fosse priva del benché minimo mordente anche per il pubblico delle massaie cui, in fondo, si rivolgeva. Tutte cose, quelle scritte vent’anni fa, che, a leggerle oggi, parrebbero davvero sacrosante non intervenisse la considerazione che a rivedere Via Montenapoleone dopo quasi un lustro di ostinato raschiare il fondo della botte e dopo che i limiti del peggio sono stati abbondantemente superati, l’impressione che se ne ricava è sostanzialmente modificata.
Via Montenapoleone oggi sembra un film “quasi” garbato ancorché pessimamente girato ed interpretato, sembra il documento di un tempo ormai definitivamente passato cui non si può non guardare con nostalgia; un tempo in cui la realtà televisiva, oggi imperante, non si era ancora lanciata nella crociata dell’esibizione pornografica del dolore e delle lacrime che è, oggi, l’unico modo ancora possibile per accaparrarsi audience e, quindi, soldi. Il film è figlio di un periodo, gli anni ’80, in cui si poteva ancora credere di poter comunicare, attraverso le immagini, qualche sano valore ad un pubblico che non era ancora del tutto anestetizzato. E poco importa che buona dose dell’anestetico dovesse essere alla fine proprio un film come Via Montenapoleone.
Il lavoro dei Vanzina, da questo punto di vista è perfetto frutto di un periodo di transizione: ha visione, sia pure imprecisa del Nuovo (lo sfarfallio effimero della moda, il prossimo trionfo dell’apparire sulle ragioni dell’essere), ma ha anche ancora ricordo del Vecchio (i valori ancora vitali, ma prossimi allo sgretolamento della famiglia, dell’amore, finanche dell’amicizia). E nel guado tra le due realtà non sembra mai davvero capace di sceglierne una fino in fondo. Sicché non si capisce mai davvero bene quale sia da scegliere tra i nuovi valori di una realtà come Milano che sta già berlusconianamente puntando all’America come modello di capitalismo trionfante e quelli della vecchia Italia provinciale.
La storia mette in moto, per questo, realtà narrative paradossali: c’è la donna (Carol Alt) che, stanca della sua vita borghese, cerca lavoro, trova un amante, ma poi ritorna tra le braccia del marito, complice la tata vecchio stampo. C’è il giovane omosessuale (Luca Barbareschi) che vive con dolore la sua diversità salvo poi ricongiungersi con l’amore della madre, sola ancora di salvezza nelle avversità del mondo contemporaneo (e il coraggio di toccare un argomento ancora oggi spinoso si stempera nella visione secondo cui i gay sono persone come le altre purché finiscano tutte le loro notti in bianco). C’è, infine, il brillante studente in carriera (Paolo Rossi) che cavalca la tigre della realtà milanese, ma è destinato, proprio per questo, a rimanere solo perché questo solo può essere il destino dei rampanti uomini nuovi alla Berlusconi.
La famiglia, alla fine, risulta l’unica realtà destinata a restare. Ed è proprio qui che si può toccare con mano quanto poco profetica sia stata quest’opera, esteticamente deprecabile, dei figlioletti di Steno.
La qualità audio-video
Pessimo il lavoro di riversamento di questo prodotto evidentemente para televisivo. L’immagine è piatta, i colori pesantemente slavati e l’impressione costante è quella di avere davanti nient’altro che il riversamento in disco di una vecchia VHS appena passabilmente conservata.
Il suono è codificato in un 2.0 appena sufficiente.
Extra
Il Dietro le quinte è, in realtà una piccola conferenza stampa filmata: un divertente documento d’epoca che contiene alcune dichiarazioni dei registi abbastanza pericolose (il modello della pellicola sarebbe La Ronde di Ophuls, il film è un concreto tentativo di dare spazio a personaggi femminili solitamente assenti nel nostro cinema ecc.).
Per il resto qualche scheda scritta che non soddisfa molte curiosità.
(Via Montenapoleone); Regia: Carlo Vanzina; interpreti: Renée Simonsen, Carol Alt, Luca Barbareschi, Paolo Rossi, Sharon Gusberti, Corinne Clery, Fabrizio Bentivoglio; distribuizone dvd: Cecchi Gori
formato video: 1.33:1; audio: Italiano Dolby digital 2.0; sottotitoli: Italiano per non udenti
Extra: 1) Dietro le quinte 2) Biografia del regista e degli attori principali
