EDIPO CONTRO EDIPO - Piccole conclusioni su Venezia
Basta leggere la mattina i giornali di domenica 7 settembre o la sera prima aver visto una demenzialissima trasmissione tv (su Rai1) a caldo finita la cerimonia di premiazione di Venezia, e anche la “mina” della Giuria e dei premi è arrivata puntuale ad deflagrare, a conclusione di una contraddittoria e confusa edizione della Biennale a numero tondo, la Sessantesima. Che era stata costruita ad uso e consumo di uno slogan giornalistico: l’ennesima “rinascita” dell’araba fenice alias il cinema italiano ma chi si aspettava a tavolino un Leone d’oro nostrano è stato deluso, dato che Mario Monicelli e la sua Giuria hanno scelto un “solito ignoto”, un’altra opera di uccisione di padri, Il ritorno del russo Andrej Zvjagintsev. Con il paradosso, poi, che a parlare e a difendere accanitamente il capolavoro di Marco Bellocchio, Buongiorno, notte (da ieri in tantissime sale italiane e a cui auguriamo un bel risarcimento di pubblico), si sono ritrovati schierati anche personaggi e testate giornalistiche sul cui sincero sostegno ad un’opera dolente e sofferta come questa, è lecito avere ampi dubbi. Ad un film quindi su uno dei grandi misteri della nostra recente storia patria è corrisposto un altro psicodramma (piccolo per fortuna), che dimostra ancora una volta la fragilità psicologica e il vittimismo (modello calcio coreano, tanto per intenderci) tipico del nostro ex-Bel Paese. Detto ciò e non essere frantesi, bisogna anche aggiungere che Marco Bellocchio e i suoi collaboratori, dal cast artistico a quello tecnico, hanno tutte le ragioni, loro sì, di essersi sentiti messi in un angolo e presi in giro da un riconoscimento alla sceneggiatura, il “Premio per un contributo individuale di particolare rilievo”, che come ha argutamente detto chi lo consegnava sul palco, il critico Tullio Kezich, “vuol dire tutto e niente, come giornalista mi permetto di immaginare che questo premio farà discutere”. Con un certa amarezza lo stesso regista ha commentato: “io sono irrimediabilmente un non riconciliato. Un isolato. C’è qualcosa che mi rende estraneo, eppure stimo e sono stimato, ma estraneo: incapace di fare famiglia col cinema italiano... Adesso sono in pace con il mio lavoro, lo amo. Il pubblico lo sente, si vede che basta così.” Dunque l’Edipo minore (russo) che come opera-prima si è conquistato anche (e qui giustamente) il pingue assegno del Premio De Laurentiis, ha sconfitto l’Edipo Re del filmmaker piacentino in un agone che prevedeva la bellezza di diciassette premi (non sono forse un po’ troppi!?) per due Concorsi di cui uno, quello di “Controcorrente” finto, interessante e vitale quanto si vuole, ma nella sostanza pleonastico nei suoi risultati finali: nessuno lo scambierebbe mai con il “fratello maggiore”. Il resto dei premi - alcuni ampiamente condivisibili come il Gran Premio della Giuria a Zatoichi di Kitano Takeshi o la Coppa Volpi a Sean Penn per 21 Grams di Alejandro Gonzáles Iñárritu, altri molto meno a partire dal Leone alla regia per la libanese Randa Chahal Sabbag (L’aquilone un film di messa in scena? Mah) - hanno incoronato senza un pizzico d’originalità un’edizione della Biennale da ricordare per un livello medio del programma migliore certo dell’anno scorso ma soprattutto per un caos (dis)organizzativo al di là dell’immaginabile. Da un palinsesto demente con orari e buchi inconcepibili a file e prezzi folli, da cataloghi mal fatti e pieni di errori, al proliferare della baraccopoli intorno al Palazzo del cinema, ecc., ecc. A fregarsi le mani contenti sono stati soltanto i vampiri soliti noti: i ristoratori e gli albergatori del Lido e dintorni che, diretti discendenti dei pirati dell’Illiria, hanno spennato sino all’osso i loro clienti... Il Festival di Venezia come di consueto, ma non sarebbe ora che mutasse qualcosa? In attesa di quel Miracolo che si attende da per lo meno vent’anni, il direttore “passeggero” Moritz De Hadeln è stato riconfermato via Chiambretti in tv, secondo la prassi italica che non c’è niente di più definitivo del provvisorio. Help!