Eragon

Ci si consenta, in pieno clima natalizio, una semplice metafora sportiva a chiarire il senso ultimo di un film come Eragon tratto dal romanzo del quindicenne (tanti erano gli anni all’uscita del volume) Christopher Paolini:
Se Il Signore degli anelli poteva avere la possanza di una lunga ed estenuante maratona trascinata nei luoghi più impervi, il film appena uscito nelle sale italiane (l’uscita americana è di appena un mese fa e non è stata salutata da quell’accoglienza trionfale che molti si aspettavano) sembra essere piuttosto la corsa solitaria di un centometrista fin dall’inizio destinato ad arrivare secondo.
Se il capolavoro di Peter Jackson, infatti, si muoveva nelle salde coordinate di un racconto virtualmente infinito, godibile dallo spettatore nello spazio franco di una meditazione che si prendeva tutti i suoi tempi necessari e non temeva le divagazioni, Eragon, viceversa, come nella gara dei corridori più veloci del mondo, è spettacolo che finisce proprio nel momento in cui comincia. Forse appena qualche secondo dopo.
E’ un battito di ciglia il piccolo film di Stefen Fangmeier. E ci lascia sempre con l’impressione di durare troppo poco, di concentrarsi eccessivamente sul puro aspetto della storia narrata senza prendersi la briga di creare quelle atmosfere e quei personaggi che possono fare la gloria di un film fantasy. C’è l’arrosto dell’intreccio e delle situazioni, ma mancano sempre l’odore e il sapore della tavola imbandita. Il che è peccato altrettanto mortale di produrre il classico fumo senza sostanza che è in genere il problema dei consueti film natalizi americani di grosso budget.
Le poche spezie che, quà e là fanno capolino nel cuore narrativo della vicenda del film (il libro resta cosa "altra"), sono poi desunte da diversi modelli, da pellicole che, in un modo o nell’altro, hanno percorso tappe analoghe o sia pur vagamente simili.
Sull’onda de Il Signore degli anelli, ad esempio, si è deciso di far precedere la narrazione vera e propria delle gesta di Eragon da una piccola sequenza di prologo pensata per introdurre lo spettatore nella non proprio complessa cosmogonia pensata da Paolini per la sua saga romanzesca. Ed è questo già il primo e più sostanziale tradimento della pagina scritta che, nel suo stile anche troppo secco, preferisce gettare immediatamente il lettore in piena media res lasciandolo non poco disorientato sui primi sviluppi dell’intreccio narrativo. Il risultato è che la competenza dello spettatore cinematografico ignaro della pagina scritta, ad inizio percorso, sopravanza eccessivamente quella del semplice lettore del libro. Il pubblico in sala, per dirla tutta, "sa troppo" e molti elementi, sulla carta importanti a rendere le dimensioni reali della vita del personaggio e del suo modo di relazionarsi con il mondo che lo circonda, divengono secondari e spesso ininfluenti.
Il prologo, insomma, pensato proprio sul modello degli incipit dei tre capitoli della trilogia tolkinenana con le ampie panoramiche aeree sui luoghi del mito e con la voce fuori campo posta lì a sintetizzare ampie campate di racconto, ottiene come primo effetto quello di spingere immediatamente la narrazione verso i colpi di scena e il puro movimento narrativo quando ci sarebbe stato bisogno di un po’ più di respiro.
Ad essere sacrificato all’altare di questo bisogno eccessivo di sintesi è proprio la caratterizzazione del protagonista della vicenda che subisce un doppio e paradossale processo di invecchiamento e ringiovanimento rispetto al libro.
Passato anagraficamente dall’età di quindici a quella di diciassette anni, Eragon è, infatti, meno volitivo, meno deciso, meno adulto di quanto non sia nel romanzo. La dimensione del gioco fanciullesco (le liti col fratello d’adozione) non hanno ancora del tutto lasciato il posto alle preoccupazioni di chi deve procurare il cibo per tutta la famiglia. Le battute di caccia hanno le proporzioni dello svago di un giorno e non durano, o non sembrano durare, quei giorni e quelle settimane di solitudine con le prede che fanno crescere chiunque più in fretta.
L’Eragon di Paolini, insomma, è figura più medioevale, di quella che emerge dal film con tutti i cambiamenti di senso che questa cosa comporta.
Di qui in poi il racconto si orienterà secondo modelli ampiamente visti e risaputi. La corsa a cavallo e contro il tempo per salvare l’elfo avvelenato dallo spirito nero appare, infatti, più ancora che nel romanzo, un debito rispetto alla situazione analoga incontrata in La Compagnia dell’anello.
E del resto lo stesso rapporto maestro/allievo che lega Eragon a Brom sembra essere una rilettura senza fantasia di quello che legava Obi-Wan Kenobi con Luke Skywalker in Star Wars: A new hope con tanto di insegnamento delle mille vie della Forza.
Anche il dispego degli effetti speciali non sempre sortisce l’effetto desiderato.
Se il personaggio del drago Saphira sembra venir fuori a livello iconografico nel migliore dei modi (ma nell’edizione italiana gran parte del risultato è vanificato da un doppiaggio ai limiti dell’assurdo), non da meno il film perde colpi proprio nelle sequenze più ampiamente spettacolari e/o di guerra.
Il confronto finale tra le forze del bene e quelle del male vive, infatti, tutto in uno spazio immaginifico fortemente debitore, nei colori e nei modi di ripresa, al modello jacksoniano, ma manca, a queste scene, sia senso di profondità che giusto ritmo.
Da tutto questo vien fuori un film agile e veloce, ma privo di spessore in cui oltre ad essere eliminati gli elementi superflui o divaganti rispetto al corpo narrativo più puro, sono eliminati anche quelli più apertamente scomodi per un blockbuster natalizio che mira al grande pubblico.
Si semplifica per questo anche il rapporto Eragon/Saphira che perde quella carica vagamente erotica che aveva nel romanzo per diventare più generico e, quindi, meno conturbante. E il giovane Edward Speleers, dal volto pulito e gli occhioni sgranati (ma meno sognatori di quelli di un Frodo alle prese con la parte più disturbante di noi stessi) perde l’occasione di mettere a nudo le contraddizioni dolenti di un’adolescenza in fondo ordinaria nella sua palese eccezionalità.
[Dicembre 2006]
(Eragon) Regia: Stefen Fangmeier; sceneggiatura: Peter Buchman; fotografia: Hugh Johnson; montaggio: Chris Lebenzon, Roger Barton; musica: Patrick Doyle; interpreti: Edward Speleers (Eragon) Jeremy Irons (Brom), John Malkovich (Re Galbatorix), Sienna Guillory (Arya), Garrett Hedlund (Murtagh), Djimon Hounsou (Ajihad), Robert Carlyle (Durza); produzione: Fox 2000 Pictures, 20th Century Fox, Davis Entertainment, Dune Entertainment, Ingenious Film Partners, Major Studio Partners; distribuzione: 20th Century Fox ; origine: USA, 2006; durata: 104’; web info: Sito ufficiale
