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Et in terra pax

Pubblicato il 27 maggio 2011 da Antonio Valerio Spera


Et in terra pax

Il cinema italiano ha bisogno di coraggio. Il coraggio di indagare, di rischiare, di osare, di uscire fuori dalla standardizzazione, di rinnovare il proprio sguardo. Quel coraggio che può avere solo chi ama il cinema, chi lo considera un’arte al di fuori del suo aspetto commerciale, chi vuole raccontare una storia perché veramente ne sente il bisogno, chi guarda nell’obiettivo della macchina da presa con l’intenzione, l’emozione e l’orgoglio di star realizzando qualcosa di grande o comunque di unico. Et in terra pax, esordio nel lungometraggio dei giovanissimi Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, questo coraggio lo possiede. Esplode dalla storia, da ogni inquadratura, dai dialoghi, da quella sensazione di verità avvolta in un’atmosfera sospesa che pervade l’intera narrazione.
Ci troviamo a Corviale, Roma, ma potrebbe essere una periferia qualunque, qualsiasi luogo ai margini di qualsiasi metropoli. Il Serpentone, così viene chiamato nella capitale il lunghissimo palazzo dove vivono più di 15000 persone, domina lo sfondo. La vita lì, la vita nella borgata, è un’esistenza fatta di piccole cose, di futili piaceri, di incontri fugaci, di sguardi irrisolti, di rapporti veri solo all’apparenza. Un’esistenza piatta, di una quotidianità monotona. Eppure la paura che tutto questo possa cambiare, che si possa riuscire a intravedere anche una sola possibilità di riscatto è tanta. Non c’è la volontà di vivere né di sopravvivere, c’è solo la certezza che “questo è e così deve rimanere”. E’ in tale universo “fuori dal mondo e dalla società” che si incrociano tre storie, quella di Marco, appena uscito dal carcere e costretto a rientrare nel “giro” per campare, quella di Sonia, giovane studentessa universitaria che lavora nel bar del quartiere per tirare su qualche soldo, e quella di Faustino, Massimo e Federico, terzetto che finge un rapporto di amicizia occupando le giornate con vane passeggiate e continui “acchitta ‘na botta”.
Attraverso il racconto di queste tre storie, Botrugno e Coluccini immergono lo spettatore in un’unità di luogo opprimente, in una realtà quasi aliena, nella sua organizzazione sociale similprimitiva e soprattutto nella sua psicologia. La macchina da presa infatti non si limita a descrivere i personaggi, ma li scava, muovendosi sempre vicino ai loro volti, studiandoli, delineandone il loro passato e forse anche il loro futuro. Ma allo stesso tempo riesce anche a far vivere sullo schermo la borgata in sé, con la sua architettura grigiastra ed esteticamente priva di umanità. Ed ecco così che corpi e anime dei personaggi appaiono inscindibili dalla triste scenografia, uniti ad essa da un coatto legame di sangue.
Et in terra pax è per sua natura cinema iperrealistico, perché è capace di mostrarci la realtà, di evidenziarne i dettagli e di sottendere al discorso narrativo uno studio sociale empatico ma privo di giudizi. Tutto può sembrare caricato, esagerato, esasperato, ma strugge, appena usciti dalla sala, rendersi conto e pensare che invece sullo schermo sia passata solo ed esclusivamente una fetta di realtà cruda e violenta. Una realtà, quella della borgata, dimenticata dagli schemi sociali e dimenticata soprattutto dal cinema italiano degli ultimi anni. Ci sono voluti due registi neanche trentenni per rivederla vivere in un film con tale intensità. Due registi di cui siamo sicuri continueremo a sentire parlare. Perché se è vero che la pellicola presenta quelle fisiologiche ingenuità dell’opera prima – in questo caso soprattutto un racconto che all’inizio stenta un po’ a decollare e alcune sequenze eccessivamente lunghe – si respira buon cinema sin dalla prima inquadratura. Botrugno e Coluccini riempiono di poesia una storia sporca e dolorosa, e lo fanno con movimenti di macchina accattivanti, con una direzione degli attori mirata solo alla ricerca della verità, con scelte registiche rischiose ma efficaci (vedi il piano sequenza nella scena corale intorno al tavolo) e con un uso delle musica che gioca antiteticamente con le immagini. Insomma, con uno stile che speriamo di rivedere presto sullo schermo.
Il cinema italiano non è morto. Basta avere il coraggio di crederci.


CAST & CREDITS

(Et in terra pax) Regia: Matteo Botrugno, Daniele Coluccini; sceneggiatura: Matteo Botrugno, Daniele Coluccini, Andrea Esposito; fotografia: Davide Manca; montaggio: Mario Marrone; suono: Andrea Viali; interpreti: Maurizio Tesei (Marco), Ughetta D’Onorascenzo (Sonia), Michele Botrugno (Faustino), Fabio Gomiero (Federico), Germano Gentile (Massimo), Simone Crisari (Glauco), Riccardo Flammini (Mauro), Paolo Perinelli (Sergio), Paola Marchetti (Nonna Sonia); produzione: Kimerafilm, Settembrini Film; origine: Italia; durata: 89’.


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