Eu Cand Vreau Sa Fluier, Fluier (If i want to whistle, I whistle) - Berlino 2010 - Concorso

A tradurre in italiano il titolo, salta fuori un bell’endecasillabo: Se mi vien voglia di fischiare, io fischio. E guardando il film non si può fare a meno di chiedersi come è che al giovane regista Florin Serban (35 anni, primo lungometraggio) sia potuto venire in mente un titolo così strano. In conferenza stampa ha dichiarato che era il titolo della pièce teatrale da cui il film è stato tratto. Invano ne ha cercato uno migliore, dice. Ennesima riprova della vivacità del nuovo cinema rumeno (a parte la Palma d’Oro del 2007 a Cristian Mungiu e l’ormai veterano Radu Mihaileanu, giova ricordare almeno Poliziotto, aggettivo di Corneliu Porumboiu, che ha vinto il premo della giuria di “Un certain regard” 2009 e lo splendido Katalyn Varga di Peter Strickland passato in concorso l’anno scorso a Berlino), il film di Serban è un originale “prison movie”, molto sui generis: niente preparativi di fuga, niente (falliti) tentativi di reinserimento, né thriller, né denuncia sociale. O, forse, un po’ entrambe le cose, benché in secondo piano rispetto alle fosche tinte di un dramma familiare, di abbandono e risentimento, un dramma di proporzioni mitiche. Tutta la vicenda si dipana nei pochi giorni prima del rilascio di Silviu (interpretato dall’esordiente George Pistereanu), dopo quattro anni di detenzione. E l’evento scatenante (magari un po’ troppo costruito, guarda caso proprio pochi giorni prima del rilascio…) è l’improvvisa ricomparsa in parlatorio della madre (Clara Voda), sparita chissà dove, chissà da quando; la donna è fermamente intenzionata a lasciare la Romania e trasferirsi in Italia. Fin qui nulla di male. Nessuno ne sentirà la mancanza. Ma la madre vuol portarsi dietro il figlio minore (Marian Bratu), a cui Silviu è legato da un affetto assoluto, in fondo è stato lui, il fratello più grande, a tirarlo su negli anni in cui i genitori latitavano (ma nei quattro anni in cui Silvio era in riformatorio, il fratellino con chi stava? La sceneggiatura qua e là non quadra…). Il film negozia dunque una serie di conflitti: come farà Silviu a scongiurare il pericolo di questa ulteriore, irrimediabile perdita? Come farà a resistere alle provocazioni degli altri detenuti che sapendolo fragile perché prossimo al rilascio cercano in ogni modo di fargli saltare i nervi? Fin quando la violenza latente scoppia davvero e quel senso di ineluttabilità che si era respirato per tutto il film trova una tragica conferma - anche se, poi, il momento più drammatico coincide con il momento più poetico, allorché Silviu, che pure era riuscito ad ottenere dal direttore del carcere quel che voleva (rivedere la madre e farle giurare di lasciare il fratellino in Romania), chiede di più, chiede l’impossibile: vuole uscire dal carcere, sia pure solo per qualche minuto, e bersi un caffè con una ragazza, anche se la ragazza era, fino a un minuto prima, proprio quella che aveva tenuto in ostaggio. Se mi vien voglia di fischiare, io fischio, il titolo, ha detto alla fine il regista, sta a significare l’istintualità dei giovani del riformatorio, la loro animalità. Silviu non è così, è un ragazzo ferito, distrutto, ma capace di controllarsi, di resistere; e anche quando tutti gli sforzi si rivelano vani, quando capisce che i pochi giorni da trascorrere in carcere rischiano di fargli perdere l’unica persona che ha al mondo, l’unica identità che gli resta, elabora un progetto mirato, violento ma clamorosamente umano. Girato in modo nervoso, alternando la camera a mano a sequenze più statiche, con una perfetta interazione fra attori professionisti e i detenuti o ex detenuti reclutati e addestrati sul campo dal regista con una serie di workshop mirati, il film è, seppur indirettamente, anche un film sul dopo Ceausescu, un film sul mito di un nuovo benessere (l’Italia e le sue promesse), sul conseguente sfascio delle famiglie, su una generazione cresciuta senza padri e senza madri.
Regia: Florin Serban; sceneggiatura: Catalin Mitulescu, Florin Serban dal dramma omonimo; fotografia: Marius Panduru; montaggio: Catalin Mitulescu, Sorin Baican; interpreti: George Pistereanu (Silviu), Ada Condeescu (Ana); Clara Voda (la madre), Mihai Constantin (il direttore), Marian Bartu (il fratello); produzione: Catalin Mitulescu, Daniel Mitulescu.
