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Facing Genocide: Khieu Samphan and Pol Pot - Roma 2010- Extra

Pubblicato il 4 novembre 2010 da Sila Berruti


Facing Genocide: Khieu Samphan and Pol Pot - Roma 2010- Extra

"L’uomo che mi siede accanto è un assassino, responsabile di centinaia di migliaia di morti (si parla di Khieu Samphan, uno dei fondatori dei khmer rossi, stretto collaboratore di Pol Pot, intellettuale che ha razionalizzato il massacro di almeno un milione e mezzo di persone)... Fosse un tedesco, accusato degli stessi crimini durante la Seconda Guerra mondiale, sarebbe ricercato in tutto il mondo e dovrebbe nascondersi. Ma lui è Cambogiano, è ora protetto dalle Nazioni Unite, viene chiamato "Eccellenza" e viaggia con una guardia del corpo...” (Tiziano Terzani)

Cosi il giornalista e reporter di guerra Tiziano Terzani scrive in uno dei suoi articoli, raccolti poi nel volume Fantasmi- dispacci dalla Cambogia, parlando di uno degli uomini più sanguinari dell’ epoca moderna, responsabile di uno dei genocidi peggiori e meno ricordati, almeno nel mondo occidentale. La penna di Terzani racconta una terra che ancora sanguina, nella quale anni dopo la fine delle atrocità, i contadini non possono scavare piccole buche senza che emergano i corpi straziati dal regime di Pol Pot. La guerriglia dei Khmer Rossi, è un conflitto silenzioso, che strozza il paese in un assedio sussurrato che distrugge lento e inesorabile, come un male incurabile e invisibile. Siamo abituati ad assegnare una accezione positiva al termine “memoria”, se non altro per la sua natura necessaria e inviolabile. Ci siamo illusi che la memoria degli errori commessi ci affranchi dal reiterarli e per questo, i regimi totalitari hanno gettato nell’oblio tutto ciò che avrebbe potuto, e dovuto, risvegliare le coscienze. Ci sono drammi, genocidi e guerre civili che si consumano ogni giorno, ancora oggi, senza che questo sconvolga il nostro tram tram quotidiano e, da una parte, è inevitabile che sia così. Ma da quello che accade in zone e a culture tanto distanti dalla nostra dobbiamo imparare ad apprendere, nel tentativo di dare un senso all’orrore che strazia il corpo di altri uomini e di altre donne. Facing Genocide: Khieu Samphan and Pol Pot assurge a quella che sarebbe giusto definire come un’esigenza: l’inviolabile dovere/diritto di ciascun cittadino a tendere l’attenzione verso ciò che non conosce, anche quando si tratta di orrore e morte. Si è tanto parlato, in occasione di recenti e drammatici fatti di cronaca nazionale, di morbosità, del piacere del pubblico nell’osservare un corpo straziato, della pulsione a recarsi nel luogo dello massacro e a cercare di conservare un frammento, un souvenir. Che ci sia un po’ di morbosa curiosità davanti al volto imperturbato di Khieu Samphan quando afferma sorridente che avrebbe potuto godere di una vecchiaia serena senza “ tutta questa noiosa storia del processo”, siamo pronti ad ammetterlo. L’orrore che ha straziato la terra cambogiana, di fronte al quale anche in reporter di guerra consumato perdeva il sonno e la ragione, deve trovare ascolto facendo leva anche sulle bassezze delle mente umana. Si tratta, in fin dei conti, di trovare il coraggio di ascoltare e il coraggio ha in sé, una qualche componente di morbosità. Si deve fare appello a qualche cosa, altrimenti le orecchie si chiuderebbero e la memoria cesserebbe di registrare. Al dispositivo cinema è da sempre affidato il compito di fermare, di combattere, contro l’oblio della memoria. Il cinema raggiunge posti lontani, raccoglie le voci e le grida dei parenti delle vittime Al documentario, opera di libera creazione e frutto di una serie di scelte (come qualunque altro film), sarebbe ingiusto chiedere di rendere fedele testimonianza di quanto accaduto. Ingiusto e inutile. Per questo non lo chiediamo nemmeno a Facing Genocide: Khieu Samphan and Pol Pot, dal quale non cerchiamo ne informazioni ne verità nascoste. Rimaniamo però colpiti dalla forza del suo attore protagonista, dall’ interpretazione di Khieu Samphan. Nel proclamare con pacata soddisfazione la sua innocenza, nel mostrare un volto impenetrabile e freddo, il braccio destro di Pol Pot denuncia se stesso in tutta la sua spietata colpevolezza. Testimonia per primo la capacità di guardare in faccia l’orrore senza vederlo. E il cinema questo lo sa rendere bene. La macchina da presa toglie al suo legittimo possessore il monopolio della propria immagine per consegnarla a noi, spettatori morbosi e stupiti, che la osservazione sotto l’occhio impietoso della nostra quieta moralità, con tutta la calma che il buio della sala cinematografica ci concede. Aggiungiamo ora alla memoria dell’orrore un dettaglio in più e chissà che questo non sia veramente un altro ingrediente, utile alla formulazione di un antidoto che sembra possa essere il frutto di un collettivo e condiviso senso del dolore


CAST & CREDITS

(Facing Genocide: Khieu Samphan and Pol Pot); Regia e sceneggiatura: David Aronowitsch e Staffan Lindberg; fotografia: Göran Olsson; montaggio: Torkel Gjørv; musica: Michel Wenzer;produzione: David Aronowitsch, Jenny Örnborn, Tobias Janson; distribuzione: Story AB ; origine: Svezia, Norvegia; durata:95’; web info: http://www.romacinemafest.it/ecm/we...


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