Factory girl

Ascesa e declino della “superstar” Edie Sedgwick, icona pop per quasi più di un lustro, nella New York della metà degli anni Sessanta. Regina della Factory di Andy Warhol, spazio creativo sopra le righe, luogo di eccessi e sperimentazione artistica, promiscuo e dissacrante, Edie conosce il suo momento di gloria in un periodo di temperie culturale, negli anni in cui le provocazioni estetiche destavano ancora scalpore e scandalo, suscitando le ire dei ben pensanti; erano gli anni in cui un semplice oggetto di uso comune diveniva un’icona popolare, manipolata e potenziata per valorizzarne le implicite qualità espressive. Anche la serigrafia entrava nell’immaginario collettivo come concetto in grado di dimostrare che in realtà “non c’è mai ripetizione e tutto ciò che guardiamo può essere degno della nostra attenzione” (John Cage); l’estetica dell’ultima fatica di Hickenlooper sembra riflettere sul piano visivo e teorico quella della Pop Art: oltre alla più superficiale riproduzione ambientale, scenografica e costumistica del clima dell’epoca, il film restituisce, indirettamente, attraverso l’uso costante dell’alternanza tra immagini di repertorio, falso documentarie e ricostruite, l’idea dell’iterazione come analisi linguistica per la ricerca del “vero”.
Per arrivare al successo Edie non ha dovuto esprimere doti particolari: Andy Warhol le chiedeva di essere semplicemente se stessa, la giovane aristocratica fragile ed effervescente, dagli abiti eccentrici e alla moda, che si mette a completa disposizione della fantasia dell’artista, divenendo l’interprete principale di numerose, grottesche pellicole underground fondate sul concetto di cinema nel cinema, cioè dell’arte che svela i propri mezzi e i suoi segreti, cavalcando l’ondata rivoluzionaria europea della Nouvelle Vague.
Il rapporto che lega Warhol alla sua musa ispiratrice è inizialmente simbiotico, ma il sesso rimane estraneo alle confidenze più intime e ad un amore che sembra preadolescianziale, platonico. Eppure la sceneggiatura di Mauzner instilla il sospetto che la sua fine sia dovuta anche alla gelosia dell’artista per Billy Quinn, il musicista di cui Edie si innamora, un cantautore“tradizionale”, con idee diametralmente opposte a quelle del bizzarro pittore newyorkese. La passione carnale che nasce tra Billy ed Edy fa da contraltare all’ambigua amicizia tra quest’ultima ed Andy.
Il logorio delle relazioni conduce la protagonista ad un lento, inarrestabile declino, che la porterà ad annullarsi nell’alcool e nelle droghe, vittima degli spettri di un passato oscuro e infernale, in cui ha subito le violenze del padre, il suicidio e la morte di due fratelli.
Factory Girl fonde con sensibilità naif l’istanza documentaria e quella fiction, creando un melodramma ibrido, ma accattivante; di rilievo le interpretazioni dei tre attori protagonisti – Guy Pearce, il sosia di Warhol, su tutti -, ma interessante e molto accurata è anche la colonna sonora selezionata da Ed Shearmur: Nowhere to run di Martha Reeves & The Vandellas, Psychotic reaction dei Count five, e Bama Lama Bama Loo di Little Richard. Epoca, climi e atmosfere di un periodo storico e culturale riprodotto con puntigliosa autenticità, ricco di glamour, trasgressioni e velleità artistiche: il fascino di Factory Girl risiede soprattutto in questo assemblaggio pop di arte e cinema.
(Factory Girl); Regia: George Hickenlooper; sceneggiatura: Captain Mauzner; fotografia: Michael Grady; montaggio: Michael Levine; fotografia: Michael Grady; costumi: John A. Dunn; musiche: Ed Shearmur ; interpreti: Sienna Miller (Edie Sedgwick), Jimmy Fallon (Chuck Wein), Hayden Christensen (Billy Quinn), Guy Pearce (Andy Warhol); origine: USA; anno: 2006; distribuzione: Moviemax; durata: 91’
