FANTASCIENZA: Tra guerra e mondi ai confini della realtà

’C’è una dimensione oltre a quelle che l’uomo già conosce. E’ la regione intermedia fra la luce e l’ombra, fra la scienza e la superstizione, fra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere’ *
Fra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere, fin dagli albori del cinema, produttori, sceneggiatori e registi scoprirono un vero El dorado. Ne è un esempio lampante Il viaggio nella luna (Voyage dans la Lune, 1902) di G. Méliès, racconto di un gruppo di scienziati alle prese con un improbabile viaggio alla volta della luna. Prototipo del sci-fi, il film del 1902, fonda il suo successo sulla rappresentazione di un futuro (im)possibile attraverso l’uso di ’trucchi’; topoi questi di tutto il genere fantascientifico. Di matrice letteraria (Poe, H.G.Welles, Verne) il genere raggiunge la sua piena maturità negl’anni ‘20 iniziando a veicolare, sotto forma di metafora, importanti messaggi socio-politici. E’ il caso questo di Metropolis (id., 1927) di F. Lang che, attraverso una rappresentazione futuristica mette in scena il pericolo di uno sviluppo tecnologico eccessivo e incontrollato.
A determinare la fortuna di un genere è, come sempre, il pubblico, che si dimostra, da subito, estremamente ricettivo nei confronti della fantascienza, tanto che, Orson Welles, all’indomani della crisi del ’29, approfittando di tale successo e della fragilità emotiva della gente, scosse l’intera America simulando l’imminente invasione aliena della terra.
Fra gli anni a cavallo della seconda guerra mondiale l’incontro fra fantascienza e fantastico origina due sottogeneri paralleli. Si sviluppano, da un lato, le pellicole ispirate ai nuovi eroi moderni (Superman, Flash Gordon), dall’altro, legandosi con le instabili condizioni politiche dell’epoca, si realizzano film dal sottotesto socio-politico, spesso neanche troppo celato, nel solco già percorso da Lang. I timori si trasformano in mostri (King Kong; 1933, M.C. Cooper, E.B. Schoedsack) o in situazioni che metttono in evidenza le debolezze umane (Dr. Cyclops; 1940, E.B. Schoedsack, in cui tre esploratori vengono miniaturizzati da uno scienziato. Come per molti altri generi dunque anche l’evoluzione tematica e stilistica dello sci-fi si lega a doppio filo con gli eventi della Storia. I timori del dopoguerra e le remore sull’uso della bomba atomica si manifestano in film come Ultimatum alla terra (The day the earth stood still; 1951, R. Wise), dal retrogusto pacifista, Il risveglio del dinosauro (The beast from 20.000 fathoms; 1953, E. Lourie) o , guardando a oriente, Godzilla (Gojira; 1954, I. Honda).
Sono però ancora le svolte della Storia a condizionare gli autori di fantascienza. Le tensioni fra blocco occidentale e blocco sovietico rendono sempre più labile il ricordo delle preoccupazioni e delle inquietudini post-belliche. Il ’mostro’, che fino a pochi anni prima aveva rappresentato questi sentimenti, diviene ora metafora di un nemico molto più tangibile, del fantasma che si aggira in Europa, del comunismo. L’invasione degl’ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers; 1956, D. Siegel), a tratti, paradossalmente, anche antimaccartista e Fluido mortale (The blob; 1958, I.S. Yeaworth Jr.) sono solo alcuni esempi evidenti di questa tendenza che fa del binomio mostro/comunismo il suo punto di forza.
A questi schemi fanno da contraltare ’les auteurs’, americani e non, che partono dai dettami classici della fantascienza per approdare a mondi molto distanti dalg’originali. E’ il caso, ad esempio, di 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey; 1968) di S. Kubrick o di Solaris (Id.; 1971) di A. Tarkovskij. Il film di Tarkovskij, in particolare, rappresenta una sorta di opera di fantacoscienza (C. Cosulich) in cui il cosmo diviene metafora del subconscio, attraversato da astronauti costretti a confrontarsi con gli spettri e le allucinazioni del loro passato e inconscio (elemento questo palesemente ripreso ed elaborato in chiave televisiva dalla coppia Abrams e Lindelof in Lost).
Con il passare degli anni la crescita delle tecnologie digitali e della computer grafica rende sempre più decisivo elemento fantastico; si moltiplicano i mondi e le realtà, creando universi credili e, per questo, affascinanti. Si deve al successo di queste tecniche il prolificare di pellicole quali Alien (id.; 1979) e Blade Runner (id; 1982) di R. Scott, Terminator (id.; 1984) di J. Cameron, Robocop (id.; 1987) e Atto di forza (Total Recall; 1990) di P. Verhoeven.
I mostri, le situazioni fantastiche perdono la loro connotazione metaforica allontanandosi sempre più dal contesto storico. Il quadro generale trasmette l’idea di un’America serena, ormai quasi incurante del pericolo rosso . Da questo punto di vista le pellicole di S. Spielberg, Incontri ravvicinati del terzo tipo (Close encounters of the third kind; 1977) e E.T. – l’extraterrestre (E.T. – the extra-terrestrial; 1982), sembrano rappresentare un segno premonitore. L’idea spielberghiana di alieno mite e pacifico, molto distante dai mostri pericolosi e aggressivi degl’anni ’50, anticipa il senso di tranquilla superiorità, di ’pace sociale’ apparente, che l’America trasmetterà di se dalla caduta del muro di Berlino all’11/9. Non è un caso che, proprio all’indomani del crollo delle torri gemelle, gli alieni tornino spietati e cattivi, anche nella fantasia spielberghiana di La guerra dei mondi (War of the Worlds; 2005), come a rappresentare la fine di quello stato di quiete.
Guardando i titoli appena citati balza subito all’occhio la necessità di questo genere di dilatarsi in un maggiore arco temporale. Questo perché, più che in altri tipi di racconto, nello sci-fi lo spettatore nutre il desiderio di conoscere più approfonditamente personaggi e mondi. Desiderio che, evidentemente, è difficile appagare nell’arco ristretto di un solo film. La saga di Guerre stellari (Star Wars; 1977, G. Lucas) ne è un esempio emblematico. Le pellicole di Lucas, un mix di cultura pop, fumetti, storia del cinema (Ejzenštejn, Kurosawa) e pittura (Bosch, Tanguy), rappresenta il trait d’union perfetto fra il cinema e la televisione. I canoni dello sci-fi, infatti, si diluiscono all’interno di una narrazione lunga sei episodi, garantendo allo spettatore la possibilità di conoscere meglio protagonisti, luoghi e situazioni del nuovo universo creato.
Già dalla metà degl’anni ’50 le televisioni americane infatti cominciarono a trasmettere telefilm dal contenuto fantascientifico raggiungendo l’apice del successo con Ai confini della realtà (1959, 138 episodi da 30’ seguiti da 18 episodi da un’ora). Interamente realizzato in bianco e nero, il serial viene descritto dal TvGuide dell’epoca come l’esempio perfetto di fusione fra ’immaginazione, produzione e recitazione’. La costruzione narrativa della serie, basata su singoli episodi autoconclusivi, era infatti costruita a misura perfetta per il gusto dell’epoca. Lo spettatore degl’anni ’60, infatti, non avrebbe retto l’architettura complessa, fatta di numerosi racconti non lineari ad intreccio, che, nello sci-fi come negl’atri generi, rappresenta uno dei maggiori punti di forza delle serie contemporanee.
Il successo del genere è tale che fra gli anni ’60 e ’70 un numero impressionante di serie di ambientazione sci-fi invadono le reti americane, alcune delle quali, rimangono ancora oggi veri e propri cult. UFO, Spazio 1999 (sorta di seguito dello stesso UFO i cui effetti speciali furono curati da Brian Johnson, già supervisore di 2001: Odissea nello spazio) e, soprattutto, Star Trek (che conta, fra le varie serie prodotte, più di 700 episodi) contribuirono, tanto quanti i loro simili su grande schermo, a formare l’immaginario di intere generazioni. Il linguaggio dello sci-fi, in particolare, si adattò perfettamente al mezzo televisivo che ne amplificava le potenzialità. Iniziano così a moltiplicarsi le linee narrative seguendo le avventure dei singoli elementi di questi equipaggi interstellari, ognuno con il proprio vissuto e la propria storia da raccontare. Per facilitare lo spettatore in questo difficile passaggio fra narrazione lineare e racconto corale le trame divengono ridondanti e facilmente intuibili. Grazie inoltre ad uno stile espressivo estremamente riconoscibile lo spettatore si fidelizza e si appassiona fino ad identificarsi con personaggi assai distanti dal quotidiano, finanche con le orecchie a punta. Chi di noi non ha sentito almeno una volta parlare di Spok, del capitano Kirk o della celebre frase ’Diario di bordo del capitano Kirk, data astrale… ’?
E’ però con gli anni ’90 che la televisione si appropria in pieno del significato di sci-fi, science and fiction, grazie ad X-files. I due protagonisti, Mulder e Scully, altro non sono, infatti, che le due facce di questo genere. Uno pronto a credere all’esistenza di alieni,mostri ed entità soprannaturali (celebre è il poster appeso nel suo ufficio che reca, sotto l’immagine di un UFO, la scritta ’I want to believe’ io voglio credere), l’altra fredda e razionale decisa a trovare un’improbabile soluzione scientifica ai casi che le si presentano.
La struttura narrativa di X-files non rappresenta solamente uno dei punti di massimo sviluppo del genere sci-fi ma anche l’esempio di un processo, tipico del piccolo schermo, di osmosi fra generi e strutture anche molto distanti fra loro. La relazione ambigua e ammiccante fra Mulder e Scully, ad esempio, è sicuramente l’evoluzione di un carattere già presente in molte pellicole fantascientifiche (l’elemento romantico/erotico à un topos del genere) ma deve certamente molto anche a tutti i serial drama che lo hanno preceduto. La capacità di fondere insieme istanze di generi diversi, allo scopo di adattarsi ad un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo, è, fra tutti, l’elemento che maggiormente caratterizza i serial americani rispetto ai prodotti televisivi del resto del globo.
La fantascienza, come quasi tutti i generi classici, sembra aver ormai lasciato il grande schermo ma i recenti successi di serie come Stargate (serie tratta dall’omonimo film del 1994) e Battlestar Galactica dimostrano quanto il pubblico sia ancora molto sensibile a un immaginario tanto potente e fantastico. Pare proprio che ’la sesta dimensione’ appassioni lo spettatore di oggi proprio come faceva il volto della per il pubblico di Méliès.
* Incipit dell’episodio pilota di Ai confini della realtà
