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Ferrara Film Festival - 2 film e un bilancio

Pubblicato il 7 giugno 2016 da Matteo Galli


Ferrara Film Festival - 2 film e un bilancio

Se mai nel 2017 ci sarà una seconda edizione del Ferrara Film Festival, ciò sarà possibile solo se lo staff sarà in grado di fare un ampio e articolato riesame della prima edizione che è andata – ormai è possibile dirlo, ieri il festival si è concluso – decisamente male, purtroppo. L’organizzazione è parsa non all’altezza del compito che si era prefisso: davvero pochi gli spettatori, un percorso costellato da una serie impressionante di incidenti, culminati nella serata di sabato con una proiezione, quella di Fuori dal coro di Sergio Misuraca, completamente saltata (stessa cosa l’indomani con il film cinese The Blossom), il tutto a fronte di un gigantismo fatto di tappeto rosso, serate di gala, profluvio di manifestazioni collaterali, che forse sarebbe stato il caso di riservare ad un futuro prossimo, una volta rodata e oliata la struttura di fondo del festival e l’ossatura che è e dovrebbe essere la proiezione dei film.
In questi giorni, oltre a qualche apprezzabile cortometraggio (ciascuna proiezione era preceduta sempre da un corto), si è visto un interessante film di produzione thailandese intitolato The Forest del regista inglese Paul Spurrier. Si tratta di un - qua e là ripetitivo - apologo post-rousseauiano sui disagi della civiltà, esemplato attraverso la figura di un maestro, ex monaco buddhista, che lascia la tonaca per conoscere il - e agire nel – mondo. Finisce a insegnare in una scuoletta ai margini della foresta di cui al titolo, dove vigono – da un lato – rapporti gerarchici di stampo a un tempo militare e mafioso (lo stesso maestro peraltro fa lezione in divisa, forse in Thailandia son queste le regole) e – dall’altro – pesanti e bullistiche dinamiche di esclusione di cui è vittima una ragazzina muta (o presunta tale). A nulla valgono i volenterosi tentativi del maestro di insegnare rispetto e civiltà. La ragazzina viene sempre più ricacciata ai margini della società, nella foresta appunto, dove entra in contatto con un violento enfant sauvage che vive allo stato di natura, avendo di quel luogo fatto il proprio habitat; con costui, al netto di una profonda diffidenza iniziale, la ragazzina finisce per solidarizzare riuscendo qua e là anche a raddolcirlo. La vicenda, abbastanza elementare e universale, è raccontata con un ritmo piuttosto lineare, senza grandi colpi di scena, con un messaggio alla fine assai poco ottimistico, se si eccettua la brevissima scena finale, di sapore utopico, che sembra voler evocare un possibile altrove rispetto alle selvagge leggi della foresta e le altrettanto selvagge leggi della società .
Ieri poi è stato presentato un documentario molto local dal titolo non felicissimo Inseguendo il cinema che spacca i cuori, il lavoro di due videomaker operanti a Ferrara, Vitaliano Teti e Alessandro Raimondi. Ne è protagonista una figura di culto della Ferrara cinematografica, Gabriele Caveduri, colui che per decenni ha gestito il Cinema Manzoni, lo storico cinema d’essai della città estense. Memoria storica e “formatore” di intere generazioni Caveduri è sempre in scena negli 80 (troppi!) minuti del film, che funziona abbastanza fintantoché racconta, attraverso l’exemplum di Ferrara, la trasformazione della fruizione cinematografica fra gli anni ’70 e oggi, funziona bene nel racconto disincantato e niente affatto patetico di un mondo che è cambiato sul piano tecnologico, istituzionale e sociale, ma risulta francamente non all’altezza allorché il documentario passa a un lato della personalità di Caveduri, quella di simil-groupie che va al Festival di Cannes, oltreché a informarsi sulle prossime uscite, per intrufolarsi nei parties e far collezione di foto insieme ad attori e registi. In queste parti il documentario mostra anche un imbarazzante pauperismo tecnico perché infarcisce la narrazione di spezzoni, spesso di pessima qualità, di film amati o proiettati da Caveduri, che peraltro nulla aggiungono al ritratto del personaggio, trattandosi quasi sempre di film ultra-noti al pubblico. In una sala c’era circa un centinaio di spettatori, felici e grati di rivedere la loro storia raccontata da Teti e da Raimondi. È stato il film che ha registrato la maggior affluenza di pubblico di un festival davvero tutto da ripensare.



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