La sezione Alice nella città continua a stupire per la qualità, l’originalità e la freschezza dei film in programmazione: anche Seachd è una bellissima favola sul mondo dell’infanzia, una metafora poetica sulle tradizioni della cultura scozzese.
Il realismo e la dolcezza del rapporto familiare si compenetrano armoniosamente con la magia delle fiabe inventate: storie d’amore, morte, avventura e sogno, in cui si respira il sapore di una cultura estrema e misteriosa come quella gaelica.
Coinvolgente, perché mitologico e necessario, il simbolismo che disegna molte immagini; in effetti Seachd non racconta una storia mai vista prima sullo schermo – la memoria cinefila scorre lungo i fotogrammi del geniale Big Fish, da cui però la pellicola prende consapevoli distanze estetiche –, eppure il fascino di questo film nasce dalla purezza degli intenti e dalla semplicità della narrazione, anche se il finale che accentua l’ordinata confusione tra sogno e realtà lascia ampia libertà interpretativa allo spettatore.

Bellissima la fotografia di Ian Dodds, intensa e algida allo stesso tempo: per restituire il calore dell’affetto familiare protettivo e rassicurante e per connotare le sembianze ideali dell’universo infantile, mentre risponde, con il gelo di alcune tonalità, alle esigenze veristiche della vicenda.
Un’opera giovane e già matura anche nei suoi risvolti etici: è un sincero messaggio di responsabilità e amore verso il rispetto delle proprie radici, delle tradizioni e dei valori giusti che la Storia tramanda di generazione in generazione. Vanno, forse, letti in questo modo i moniti accorati del vecchio padre che invita il nipote a praticare la loro lingua originaria, il gaelico, dialetto del film.