Festa del Cinema di Roma 2007 - War Dance - Extra
‘Abbiamo sentito spari da quando siamo nati’, dice a un tratto uno dei bambini protagonisti.
War Dance è la storia di un viaggio, quello compiuto da tre bambini del campo profughi di Patongo, in Uganda, per partecipare al National Music Festival che si svolge nella capitale Kampala. Per la prima volta anche il loro piccolo campo è stato selezionato, per rappresentare la tribù cui appartengono di fronte alla platea dell’intero Paese. Patango si trova al limite della zona di guerra. E’ un piccolo villaggio dove vivono i superstiti della tribù Ancholi, falcidiata dai ribelli.
In War Dance seguiamo le settimane di preparazione al concorso di Kampala attraverso gli occhi e le vite di tre bambini, ugualmente vittime di una guerra che dilania il Paese da oltre vent’anni. Nancy, a cui i ribelli hanno fatto a pezzi il padre e rapito la madre; Dominic, rapito per farlo diventare un bambino soldato; Rose, a cui i ribelli hanno mostrato la testa della madre. Le memorie dei bambini ci raccontano la storia dell’Uganda. La regia ci porge queste testimonianze col raccoglimento che si deve all’orrore, ma allo stesso tempo senza sentimentalismi e con un tono schietto ed equilibrato, rafforzato solo dalle cifre della tragedia dell’Uganda. Assume un peso speciale quello che dice Rose dopo aver raccontato la sua storia : ‘Non c’è altro che io possa dire’.
La cura e l’amore che si percepiscono in War Dance (premiato al Sundance per la migliore regia) sono forse la sua carta vincente. Ciò è evidente specialmente nella parte centrale, quando seguiamo i piccoli protagonisti nelle loro vicende personali, lontane dalla preparazione per il concorso. E’ un movimento laterale rispetto alla struttura narrativa principale, ma che finisce per assumere un’importanza centrale. Assistiamo così ad un dialogo sconcertante, per noi quasi surreale, quando Dominic incontra un ribelle prigioniero per chiedergli notizie del fratello, e il ribelle gli dice che probabilmente è morto perché avevano ricevuto l’ordine di uccidere chiunque, come il fratello, guidasse una bici-taxi. Non c’è compassione, e Dominic non sembra nemmeno troppo sorpreso.
C’è in questo dialogo una verità assordante sull’Uganda e sui protagonisti di War Dance. Oppure quando la madre porta Nancy alla tomba del padre nascosta nella foresta. In questi momenti ci si rende conto dell’effettiva sapienza che tiene le fila del documentario. L’ottima coesione narrativa non tralascia ampi spazi meditativi nel tessuto del racconto (da sottolineare l’eccezionale fotografia degli elementi naturali, che riescono a conferire un afflato cosmico alla materia dei fatti narrati). Sono questi spazi a farci conoscere davvero la realtà che il documentario descrive. A un certo punto, nella storia di Nancy e della madre, la bambina si allontana in lacrime, la madre resta lì, guarda per un lungo momento in camera e poi abbassa lo sguardo. La telecamera indugia ancora. Un tempo interstiziale. La regia non vuole solo raccogliere e descrivere, ma ritrarre ed elaborare, vuole scavare sotto la superficie delle immagini per un profondo atto di testimonianza. Per questo alla fine si ha la sensazione di aver davvero vissuto per qualche giorno con i tre piccoli protagonisti.
Si scava nella tragedia e si arriva alla sconcertante quotidianità sotto la tragedia. E in questo caso la quotidianità diventa un concorso, che i bambini sperano con tutte le forze di vincere.
Ma proprio a questo punto scopriamo che non esiste, non può esistere una vera quotidianità: il concorso diventa subito ‘altro’, si carica di simboli fortissimi.
Esso è una festa che celebra la vita. Così l’affrontano inizialmente i bambini di Patongo. Ma la competizione li assorbe, rendendoci conto ca da essa passa una qualche forma di riscatto. Loro sono i bambini della guerra, che nascono e muoiono dove da sempre si combatte. E vogliono dimostrare che possono fare qualcosa di bello anche loro. E il concorso è anche il luogo dove si danza, vera forma di liberazione, attraverso cui dimenticare la paura e gli orrori in cui si è costretti a vivere. Il concorso diventa tutto questo, un crocevia di significati che costruisce l’appropriatissimo gran finale per War Dance.
C’è un momento molto bello, quando, poche ore prima del responso dei giudici, i bambini vanno in giro per la città e vedono l’aeroporto, la tv, le scuole di musica. Non accade niente di propriamente commovente eppure è una sequenza davvero emozionante. I bambini che vanno in giro per la capitale e che, come dice una della bambine, vanno a ‘vedere com’è la pace’.
(War Dance) Regia: Sean Fine; Andrea Nix; fotografia: Sean Fine; montaggio: Jeff Consiglio; musica: Asche & Spencer; produzione: Fine Films, Shine Global; distribuzione: Sundance Channel, THINKFilm; origine: Usa, 2007; durata: 105’;
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