Festa del cinema di Roma 2007 - And when did you last see your father? - Alice nella città
Quando si è bambini si pensa sempre che i propri genitori siano infallibili, imbattibili, perfetti. L’infanzia è un periodo fondamentalmente esente da dubbi e ad ogni incubo notturno (segno di una crescita irreversibile che resta pur sempre in atto) consegue sempre la consolazione delle carezze della madre o il gesto razionale del padre che, frugando tra le cose e negli armadi, dimostra sempre che quelle ombre che ci avevano così tanto spaventati erano, in realtà, un mucchietto di panni sporchi o un orsacchiotto senza testa.
L’età dell’adolescenza è, al contrario, l’età inquieta, il periodo in cui non bastano più le semplici risposte delle favole. Anche perché i genitori, figure fino a quel momento investite con una patente di semidivinità, non occupano più i loro piedistalli dorati, ma divengono, al nostro sguardo, uomini in mezzo ad altri uomini. Sbagliano, fraintendono, fanno soffrire, spesso senza neanche accorgersene. L’adolescenza è anche il periodo della sfida: le ragazze sognano e cercano di essere più femminili delle loro madri, i ragazzi puntano al possesso e sfidano i padri nella conquista di giovani donzelle. Accade spesso, poi, che i figli attraversino la loro adolescenza quando i padri sono appena entrati nella crisi degli anta. Ragion per cui il guanto della sfida è spesso raccolto e i conflitti diventano all’ordine del giorno.
C’è infine l’età della maturità, quando il ragazzo ha definitivamente assunto la posizione del padre: ha ora una moglie (che in qualcosa ricorda la madre), un lavoro e forse qualche figlio con cui riprende il gioco, ma dall’altro lato della barricata. È diventato ora invincibile ed infallibile all’occhio di nuovi bambini. Frattanto il padre si è fatto vecchio e si avvicina alla morte mentre un cerchio si chiude.
Se l’infanzia è l’età degli allineamenti e l’adolescenza è il periodo della presa di distanze, la maturità segna il momento del recupero, della riappacificazione, della reciproca comprensione. Padri e figli si guardano, ora, riconoscendosi identici.
Queste tre fasi fondamentali della crescita e della maturazione dell’individuo sono alla base della poesia e del valore di And when did you last see your father? una delle sorprese più gradite di Alice nella città di quest’anno.
Una sorpresa che ha tutte le caratteristiche delle sorprese quando battono bandiera inglese: notevole qualità nell’interpretazione (con un cast splendidamente ispirato), una certa cura formale nella confezione (ottima fotografia, buona musica, montaggio interessante e funzionale), ma una certa piattezza nella dimensione registica. Piattezza che non vuol dire incuria o incapacità, quanto piuttosto una sostanziale invisibilità. Il regista, in altre parole, sembra volersi mettere al servizio del copione, del testo scritto, cercando una posizione ancillare rispetto alla storia narrata.
Non cerchiamo, allora, picchi di visionarietà in questo film garbato. Anche se la storia narrata ricorda molto un Big fish di burtoniana memoria (con tanto di recupero del rapporto genitore/figlio a far da centro del discorso) manca, qui, in questa pellicola che scorre piacevole come un placido fiume, ogni forma di riferimento al fantastico. Anche perché, rispetto al modello americano, sono ribaltati, e significativamente, i ruoli di genitori e figli. Mentre in Big fish, infatti, il padre era l’incarnazione della libera fantasia creatrice e il figlio, in opposizione, era un compassato borghese che doveva recuperare la magia dell’infanzia, in And when did you last see your father? accade esattamente il contrario con il padre compassato professionista (anche se un po’ mattacchione) e il figlio scrittore.
Per il resto il film naviga bene in acque risapute e mantiene sempre una piacevolezza di scrittura che resta la vera cifra distintiva di tutta la pellicola. E anche quelle che sembrano intuizioni visionarie o si mantengono nel solco di un educato già detto (la continuità di passato e presente nello spazio di una stessa inquadratura) o fanno parte di un gioco di incastri che è più della pagina scritta che non della regia vera e propria (la scena di Blake adulto che, preso in contropiedi dai ricordi, si masturba nella vasca da bagno che fa rima con la scena analoga dell’adolescenza entrambe fermate da un intervento paterno più o meno diretto).
Resta, alla fine del film, quella sensazione che proviamo quando abbiamo conosciuto dei personaggi che desidereremmo ci facessero compagnia più a lungo perché hanno toccato un nervo di verità che brucia come una grappa d’inverno, un po’ facendo male, un po’ regalando tepore. E il merito è senz’altro di Jim Broadbent (il padre), di Colin Firth (il Blake già adulto) di Matthew Beard (l’adolescente, e il nome da tener più seriamente d’occhio perché il ragazzo ha talento) e Bradley Johnson (il bambino: perfetto).
(And when did you last see your father?); Regia: Anand Tucker; sceneggiatura: David Nicholls dal libro di Blake Morrison; fotografia: Howard Atherton; montaggio: Trevor Waite; musica: Barrington Pheloung; interpreti: Jim Broadbent (Arthur Morrison), Colin Firth (Blake Morrison), Juliet Stevenson (Kim Morrison), Gina McKee (Kathy Morrison), Sarah Lancashire (Beaty), Matthew Beard (Blake Morrison adolescente), Elaine Cassidy (Sandra), Claire Skinner (Gillian Morrison), Bradley Johnson (Blake Morrison bambino); produzione: Elizabeth Karlsen, Stephen Woolley; origine: GBR, 2007; durata: 97’; webinfo: Sito ufficiale inglese
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