Festa del Cinema di roma 2007 - Canvas - Alice nella Città
Giunta quasi a metà del programma, la sezione giovani Alice nella città sta riscontrando un ottimo successo. Per Canvas la sala è gremita e durante la proiezione il giovane pubblico si esalta, partecipa e applaude, il che rende tutto un po’ più vivo è interessante.
La storia è quella di un bambino che nella ben pensante Florida è costretto a convivere con le stranezze della madre affetta da schizofrenia e a subire il giudizio dei vicini e dei compagni di scuola. Il padre è capocantiere e a causa delle costose cure alle quali la donna deve sottoporsi i soldi non bastano per arrivare alla fine del mese. La pellicola scorre senza difficoltà ma senza coinvolgere o sconvolgere. La regia di Joseph Greco è abbastanza lineare, un po’ banale e soprattutto molto televisiva (il che in parte spiega il successo riscontrato in sala e denuncia ancora una volta l’assuefazione dei bambini al linguaggio tipico della tv).
Non ci sono grandi movimenti di macchina (il film è composto quasi esclusivamente da piani americani e totali) o particolari slanci estetici che contribuirebbero certo a movimentare una trama non originalissima. La storia, infatti, per quanto interessante, non è del tutto nuova, anzi possiamo dire che la malattia mentale è ormai un tema sviscerato da buona parte della cinematografia e da moltissimi punti di vista. Lo sguardo del film oscilla fra il punto di vista della comunità, quello del padre e quello del piccolo Chris (interpretato con bravura da Devon Gearhart attualmente impegnato nelle riprese di un film con Cleant Eastwood e Angelina Jolie ) senza mai prendere una decisione precisa.
Nonostante i temi trattati facciano parte del vissuto personale di Greco (che racconta di aver affrontato le stesse difficoltà del protagonista quando, da bambino, a sua madre venne diagnosticata una malattia mentale) lo sguardo della macchina da presa rimane asettico e privo di qualunque originalità. L’unico aspetto interessante è da individuare nella visone salvifica dell’arte che il regista propone: nel tentativo di fuggire dall’orrore che li circonda, tutti i personaggi si rifugiano nella creazione artistica. I quadri che la mamma di Chris dipinge ossessivamente e che le permettono di non sentire “le voci” , le magliette che il bambino realizza e la costruzione della barca a vela sulla quale tutti poi troveranno la salvezza sono il perno centrale intorno al quale ruota l’intera vicenda. Al contempo danno al film un po’ del respiro che gli servirebbe per uscire dalla mera rappresentazione di una storia che per quanto triste e personale non riesce in nessun modo a coinvolgere lo spettatore.
Nel raccontare il quotidiano di una vita tutt’altro che banale, Greco mantiene uno sguardo distaccato nel tentativo, forse anche troppo riuscito, di sfuggire alla facile trappola del sentimentalismo sempre in agguato quando si raccontano storie che hanno per protagonista un’infanzia difficile. Lo spiegava bene François Truffaut quando diceva di essersi più volte trovato, durante la lavorazione de Le 400 coups, a chiedersi in maniera ossessiva se la scena che stava girando avrebbe ridotto il tutto ad un pietismo banale e sterile. A Greco dunque va il merito di essere riuscito a non cadere nel tranello a scapito, però, di un po’ di lirismo che avrebbe permesso al film di prendere il volo.
(Canvas) Regia: Joseph Dominic Greco; sceneggiatura: Joseph Greco; fotografia: Rob Sweeney; montaggio: Nina Kawasaki; musica: Joel Goodman; scenografia: Bill Cimino; costumi: Nancy Jarzynko; interpreti: Joe Pantoliano (John Marino), Marcia Gay Harden (Mary Marino), Devon Gearhart (Chris Marino) ; produzione: Rebellion Pictures; distribuzione internazionale: Cinema Vault; origine: USA; durata: 101’.
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