Festa del Cinema di Roma 2007 - Clint Eastwood, Le Franc Tireur - Extra
Pochi altri uomini di cinema, dopo il declino dello Studio System hollywoodiano, hanno saputo assurgere alla statura di vero e proprio mito a tutto tondo nel cuore del popolo dei cinefili. E chi l’avrebbe mai detto, a vederlo agli esordi, che proprio quell’attore alto, un po’ goffo e legnoso (ma lo stesso si diceva di un Gary Cooper o un Gregory Peck, non a caso altri celeberrimi westerner) avrebbe saputo conquistarsi gli onori del campo, attraversando in una lunghissima cavalcata quasi mezzo secolo di storia della settima arte. Dapprima come interprete – e neppure particolarmente apprezzato – e poi come autore, accluso oggi tra i più acclamatati registi americani in attività.
Rendere omaggio a cotanto personaggio sarebbe risultato oltremodo ostico – o, all’opposto, a pensarci un momento di più, piuttosto semplice – per chiunque. Evidente che la mole di materiale di partenza avrebbe fatto tremare i polsi ai ricercatori più impavidi: ecco, tra le pecche di questo documentario-tributo desta perplessità soprattutto l’operazione di scrematura di quella montagna di dati da parte del regista. Il suo lavoro, difatti, risulta squilibrato da qualsiasi angolazione lo si osservi: eccessivamente concentrato sull’ultimo dittico bellico (e qui desta l’ilarità dello stesso intervistato la gaffe sul presunto “canto del cigno” rappresentato da Flags e Iwo Jima) o su un film sicuramente non sufficientemente apprezzato, ma ben lungi dal rappresentare un’opera capitale all’interno della vasta filmografia eastwoodiana come Cacciatore Bianco, Cuore Nero, mentre la trilogia del dollaro, vero e proprio trampolino di lancio di tale straordinaria carriera viene liquidato in poche battute e rapidi cenni di paragone tra “Sergio e Don (Siegel)”. E fortuna che ci pensa lo stesso Eastwood a menzionare i suoi padri putativi, dal momento che le domande dell’improvvido intervistatore si concentrano troppo presto altrove.
A togliere le castagne dal fuoco, dunque, e a tener desto l’interesse spettatoriale intervengono, per fortuna, le interessanti dichiarazioni di questo maturo “story-teller”, regalate generosamente da chi ha tutta l’aria di poterne elargire a piene mani e neppure rese a domande mai pallidamente intriganti. Tra di esse, suscita non poca emozione l’esternazione di Eastwood, westerner della prima ora, sul suo recente interesse alla narrazione di storie sempre più corali e meno individualiste che in passato (“anche se l’immagine di una figura solitaria che si staglia sulla tela emergendo dall’orizzonte è qualcosa che attrae lo sguardo e affascina sempre: ciò avviene anche qualora si osservi un quadro… ”).
Il film, dunque, si regge suo malgrado, nonostante l’impalcatura traballante, proprio grazie alla levatura del personaggio indagato, che apparendo schivo, ai limiti della timidezza, si offre in maniera davvero commovente davanti alle telecamere, esibendo una vulnerabilità e un’umanità che lo rendono particolarmente amabe.
Il romanticismo del western rivive insomma, si direbbe per l’ultima volta, in questo appassionato cantore di ballate delle terre dell’Ovest americano, un “uomo solo” che incarna generosamente in sé, sulle proprie rughe e sul proprio stanco corpo d’attore l’emblema stesso di una civiltà morente. Attuale in tutto il suo anacronismo.
(Clint Eastwood, le franc tireur titolo internazionale Clint Eastwood, a Life in Film) Regia: Michael Henry Wilson; sceneggiatura: Michael Henry Wilson, Hopi Lebel; fotografia: Rémi Tournois; montaggio: Lise Beaulieu; musiche: Thomas "Take" Wilson; produzione: Les Films d’Ici; origine: Francia 2007; durata: 81’
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