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Festa del cinema di Roma 2007 - Conferenza stampa di Into the wild

Pubblicato il 25 ottobre 2007 da Alessandro Izzi


Festa del cinema di Roma 2007 - Conferenza stampa di Into the wild

Sean Penn non è mai stato particolarmente generoso nel suo rapporto coi giornalisti. Arriva in sala con fare frettoloso, solo dopo essersi assicurato che una voce registrata ricordasse ai presenti che era assolutamente proibito fare foto durante la conferenza stampa.
Quando si siede, il geniale regista di Into the wild appare visibilmente scocciato dell’intera situazione. Sembra di percepire, dal suo atteggiamento, che per lui l’intera conferenza è solo un dovere contrattuale e che non vede l’ora che finisca al più presto.
Del resto, lo ammette quasi subito, la sera prima è andato a bere fuori e deve aver mandato giù qualche bicchiere di vino rosso di troppo. Per questo, dice, è un po’ lento nel dare le risposte. Ma l’aneddoto spiega anche il perché indossi per tutto il tempo un paio di pesanti occhiali da sole.
La vera sorpresa della conferenza stampa è piuttosto Emile Hirsch. Dopo aver visto il film si stenta a credere che quel ragazzo minuto, piccolo piccolo che siede sul palco sia lo stesso attore che ha dato corpo a Chris. Emile ha un sorriso affabile, e sembra ansioso di voler apparire interessato anche alle domande che non vengono rivolte direttamente a lui. Il talento sembra, per lui, andare di pari passo con l’umanità.

Una prima domanda sulle musiche di Vedder. Come mai ha scelto proprio lui per le canzoni che accompagnano il film?

Sean Penn: Avevo in mente fin dall’inizio di usare delle canzoni come elementi di sutura tra una parte e l’altra del film, come collante tra le varie transizioni. Ma non ho pensato a Vedder fino a che non ho avuto modo di vedere quello che Emile faceva del suo personaggio. Solo allora ho capito quale doveva essere il mood della musica e quale dovesse essere la voce perfetta per interpretare le varie canzoni.

Complimenti davvero per il film, bellissimo e universale. Americano, ma adatto per tutte le nazioni. Come ha scelto il suo protagonista?

S. P.: Avevo visto Emile in altri film e la sua fisicità mi sembrava perfetta per il tipo di soggetto che avevo in mente e per questo personaggio. Prima di iniziare a girare ci siamo incontrati ed abbiamo trascorso del tempo insieme. Dovevo capire se avevaabbastanza "fame" per immergersi in ruolo che lo avrebbe portato a trascorrere otto mesi nelle condizioni metereologiche richieste per le riprese. Devo dire che è stato la mia scommessa più riuscita.

Signor Penn, lei riesce a dare profondità dilaniante a tutto quello che fa, sia come attore che come regista. Cosa la fa arrabbiare di più del mondo contemporaneo come artista e come persona?

S. P.: Non sono sicuro di aver capito bene la domanda. Lei vuole sapere se c’è una cosa che mi fa arrabbiare particolarmente nel mondo di oggi. Beh! Ci sono infinite cose che mi fanno arrabbiare, ma voglio pensare che non sia solo questa origine della mia creatività.

Pensa che il cinema debba aver una precisa dimensione politica? Che debba schierarsi in qualche modo in una direzione?

S. P.: In verità io faccio solo i film che sento il bisogno di fare. Quando scelgo un soggetto e mi metto alla regia non lo faccio per motivi di carattere politico, ma perchè sono colpito dalla storia che racconto. Certo è che, però, nel mondo di oggi, con tutte le sue contraddizioni, quando si cerca di raccontare qualcosa di importante si finisce per diventare politici. Questo spiega anche il proliferare oggi di film politici nel cinema contemporaneo.

Signor Penn, nel film, per un attimo, si vede Bush padre, e sembra quasi che il tempo in America si sia fermato. C’era Bush ieri e c’è anche oggi, c’era la guerra in Iraq ieri e c’è anche oggi. Cosa ne pensa? L’immagine di Bush era pensata in questo senso?

S. P.: Lei ha perfettamente ragione e credo che quella immagine possa essere letta così. Vede qualche tempo fa sono stato ad un concerto di Bruce Springsteen, e lui ha detto "Hey, guardate dove siamo arrivati! E ora stiamo tornando indietro."

Che messaggio porta la storia che lei ha raccontato così bene ai giovani di oggi?

S. P.: Mi piacerebbe pensare che i giovani possano sentirsi in grado di rinunciare a tutti i comfort con cui sono cresciuti e che danno per scontati per scoprire la loro vera identità. Ci vorrebbero delle avventure magari non così rischiose come quelle di Chris, ma che siano in grado di far “battere il cuore”.

Ha mai vissuto un’esperienza di immersione nella natura simile a quella del protagonista del film?

S. P.: Certo ho una certa familiarità con la natura per via della mia esperienza con il surf, nell’oceano. Ma niente che possa paragonarsi ad un’esperienza del livello sperimentato da Chris.

Domanda per Hirsch e per Penn: Come avete evitato il rischio di fare di questo ragazzo una specie di santo?

S. P.: Devo prima di tutto ricordare che la storia che racconto non è stata in alcun modo inventata. Chris McCandless è esistito davvero. E tutto è stato raccontato da lui in prima persona. Questo già impedisce la possibilità di creare una figura di santo. Anzi, nel descriverlo non ci tiriamo indietro di fronte al suo egoismo: del resto abbandona i genitori e la sorella (che lo ama così tanto) e non dà più notizia di sé. Il suo andare contro il materialismo non è totale, anche solo perché per spostarsi, almeno all’inizio, utilizza l’autostop, quindi automobili, quindi civiltà.

Emile Hirsch: Ho sempre cercato di far leva sul suo essere autentico, una vera persona e non un martire. Non siamo passati sopra le situazioni in cui si dimostrava immaturo o testardo. I suoi difetti servono a renderlo umano.

Eppure nell’immagine finale del film sembra quasi che Chris somigli a Che Guevara morto. È una somiglianza voluta?

S. P.: Questa è la prima volta che qualcuno mi dice una cosa del genere. No la cosa non è affatto voluta. Ma l’accostamento non mi dispiace per niente.

Come ha lavorato sulla fisicità del ruolo?

E. H.: Mi sono preparato prima delle riprese, allenandomi costantemente. Sono sempre stato un tipo atletico, ma qui si andava oltre, si trattava di affrontare le rapide, il freddo dell’Alaska e i colpi di calore nel deserto. Era quindi necessario molto esercizio.

Ha avuto qualche rapporto con i familiari del vero Chris e, se si, le sono stati d’aiuto per interpretare il suo personaggio?

E. H.: Ho incontrato sia i genitori che sorella del vero Chris. Devo dire che parlare con Carine, è stato fondamentale. Mi ha raccontato cose incredibili che mi hanno aiutato a capirlo come non avrei mai sperato di riuscire a fare. A influenzare maggiormente la mia interpretazione è stato capire l’amore che lei provava per il fratello scomparso, di cui ancora oggi parla al presente.

E’ cambiato il suo rapporto con la natura?

E. H.: La mia percezione della natura si è accresciuta nella gioia e nel senso di grandiosità che mi trasmette. Ora, però, provo anche più “rispetto” per i pericoli che la Natura si porta sempre dietro. Quando hai una percezione di come possono andare male le cose finisce per avere una nuova prospettiva su molte cose. Tanto per cominciare sulla tua fragilità.

E su queste sagge parole si chiude, in leggero anticipo e con molte mani ancora alzate, una conferenza stampa cominciata con accademici quindici minuti almeno di ritardo.


CAST & CREDITS

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