Festa del cinema di Roma 2007 - Conferenza stampa di Rendition

Presenziano la Conferenza Stampa di Rendition il regista del film Gavin Hood, gli interpreti Jake Gyllenhaal e Reese Witherspoon e lo sceneggiatore Kelley Sane. La prima domanda, rivolta a tutti è
Come siete venuti a conoscenza del rendition? È stata una scoperta che avete fatto leggendo la sceneggiatura oppure conoscevate già questa realtà?
Gavin Hood: In verità credo che prima ancora di leggere la sceneggiatura avessi già letto da qualche parte qualche articolo che si intitolava proprio Rendition che parlava di questa pratica della CIA. In realtà in inglese la parola Rendition ha più di un significato. Significa resa, ma può anche essere riferito al modo di rendere una canzone. Per cui quando ho cominciato a leggere l’articolo non sapevo bene quale fosse esattamente il suo tema. Quando lessi la sceneggiatura per la prima volta trovai la storia molto forte ed emozionante, e per prima cosa ho sentito il bisogno di documentarmi meglio e mi sono messo a cercare su Internet informazioni su questa forma di estradizione straordinaria, che praticamente significa sequestro autorizzato dal governo. Solo quando il film era già avviato da tempo abbiamo parlato con alcuni esponenti della CIA.
Reese Witherspoon: Avevo letto sui giornali di un caso di rendition, ma non avevo mai approfondito la cosa fino a quando non ho letto la sceneggiatura e non ho cominciato a parlare del mio ruolo con Gavin. È stato lui ad indirizzarmi verso una mia ricerca personale sull’argomento.
Jake Gyllenhaal: Non vorrei essere ripetitivo, ma non posso fare altrimenti visto che anche per me le cose sono andate più o meno così. Avevo sentito qualcosa attraverso i media, ma solo con il film ho avuto modo di approfondire la questione. Ancora adesso continuo ad allargare le mie conoscenze su questi fatti. Ma devo dire che dopo l’uscita del film ho ricevuto la lettera di un avvocato che si è detto contento di come il film rispecchiasse in molti elementi la situazione reale. Compreso il numero dell’aereomobile usata per l’estradizione.
G. H.: Sì, in effetti abbiamo mantenuto il numero vero, ma abbiamo modificato le lettere per non finire nei guai. Le lettere nel film sono AIC, ovvero CIA al contrario.
Kelley Sane: Quando ho cominciato a scrivere la sceneggiatura chiaramente ho dovuto ricorrere a fonti di prima mano documentandomi su tutti i casi di rendition che erano, diventati di pubblico dominio ed erano stati raccontati dalla stampa. Casi di persone che tentavano di ottenere un risarcimento per essere state incarcerate illegalmente. La storia alla base del film, quindi, anche se sostanzialmente frutto della mia fantasia, è frutto del collage tra vari elementi di vicende realmente accadute.
La struttura della sceneggiatura è estremamente complessa e molto bella e spazia su due continenti e mette in scena delle storie parallele con dei personaggi come quelli interpretati dalla Witherspoon e da Gyllenhaal che non si incontrano neanche. Mi chiedo: in che ordine ha scritto i vari episodi che compongono la storia?
Lei così vuole conoscere i miei segreti (risata del pubblico) Va bene le dirò allora che ho scritto ogni storia individualmente e inseguito le ho amalgamate e sovrapposte. A questo punto Gavin è stato davvero molto d’aiuto a definire la logica ad incastro dei vari segmenti.
Come pensate che il film verrà accolto il film, cambierà la visione dell’opinione pubblica?
G. H.: So che film controversi come questo non si fanno molto spesso. Certo ce ne sono stati, ma si tratta di film che sono sempre arrivati dopo che la cosa era già successa. Penso ad esempio ai film sul Vietnam o sul Watergate. La particolarità di Rendition è che esso è nato sull’onda di un fatto di cronaca. Quando abbiamo cominciato a scrivere pensavamo che nei due anni che sarebbero occorsi per completare il film la questione si sarebbe sgonfiata e il film sarebbe apparso fuori tempo. La cosa triste è che ora che il film esce non solo la rendition è ancora una realtà praticata, ma che, anzi, lo è più di prima. Il film così parla di cose che stanno avvenendo ora. Credo che, per questo, il film possa se non altro portare elementi al dibattito.
Gyllenhaal, lei, con la sua famiglia che ha una lunga storia in questo senso, è da anni impegnato in attività umanitarie, cosa ha significato per lei questo film?
J. G.: Io sono stato educato a credere, che sia sempre giusto evitare la violenza in qualsiasi caso, ma so anche che a volte ci sono situazioni politiche molto complesse e si creano situazioni in cui trovare alternative è difficile. Il film rappresenta tutti e due questi punti di vista: è vero che si può arrivare anche a torturare un innocente, ma è altrettanto vero che quando si riesce a far parlare qualcuno che è effettivamente coinvolto, le sue dichiarazioni possono salvare molte vite, come dice il personaggio interpretato da Meryl Streep. Nel complesso, credo che il film sia stimolante e funzioni bene a livello umano.
Domanda rivolta a Reese Witherspoon: lei interpreta il ruolo di una donna che accetta di sposare un musulmano. Come ha affrontato questo personaggio?
R. W.: Per me è stato interessante approfondire questo tema, come sia vivere in una famiglia musulmana negli Stati Uniti dopo l’11 settembre, affrontando tutte le voci e i pregiudizi. Per me è stata una grande esperienza come attrice, mi ha aiutato a rafforzare la lotta contro questi pregiudizi.
L’aver interpretato questo ruolo le ha aperto le porte di una maggiore consapevolezza politica? Crede che gli attori debbano farsi carico anche di una dimensione politica nella scelta dei ruoli?
Certo la dimensione politica è importante. Ma che dirle? Penso che per me sia interessante come attrice trovare un’esperienza umana a cui connettermi, quando ho letto il copione mi è piaciuto vedere questo personaggio che lotta per vedere unita la sua famiglia, in questo film ho trovato un riverbero emotivo molto forte
J. G.: Però devo dire che la domanda è molto bella. Lei chiede il perché di attori che si occupano di politica. Bisognerebbe ogni tanto andare anche dai politici e chiedere loro perché recitano.
Signor Hood, come mai ha scelto Meryl Streep, un’attrice capace di convincente emotività, in un ruolo così freddo?
Su questa domanda interviene Gyllenhaal con una battuta J. G.:Sinceramente trovo questa domanda alquanto stupida (risatina generale)
G. H.: Credo che nel film siano importanti tutti i punti di vista. Anche per quel che riguarda il personaggio devo dire che io non vorrei mai il lavoro che fa. Per riuscire a fare un lavoro del genere devi saperti chiudere all’emotività, sviluppare una sorta di freddezza glaciale, e credo che Meryl fosse l’attrice ideale per questo ruolo proprio nella scena in cui ha a che fare con Reese. In questa scena ci vuole un’attrice di razza che sappia mostrare al pubblico quanto prova nell’aver a che fare con una donna in cinta e quanto deve trattenersi per rispetto del suo ruolo. Non è facile per un attore. Anche a Jake era richiesto un atteggiamento simile, nelle scene di tortura deve far percepire i suoi dubbi e le sue emozioni senza che le altre persone presenti nella stanza ne abbiano sentore.
Il finale del film ci sembra molto ambiguo, indefinito. Molto resta detto solo nei titoli dei giornali che legge alla fine Meryl Streep. Perché questa scelta?
Forse lei si riferisce al fatto che alla fine lo spettatore non riesce a capire se Anwar era realmente in contatto coi terroristi o meno. Devo dire che la cosa è stata abbondantemente voluta. Non voglio che si sappia o meno se Anwar fosse un terrorista o meno. L’idea è che la tortura in sé sia una cosa terribile, indipendentemente dal fatto se ad essere torturato sia una persona innocente o meno. Per questo ho riempito la realtà di Anwar di dubbi. Ha davvero ricevuto le telefonate? È davvero un terrorista? Per quel che riguarda i giornali, invece, devo dire che ho avuto l’idea del giornale dopo aver visto alcuni giornali che denunciavano in copertina storie simili a quella raccontata nel film. I giornali sono un modo per proteggere le persone che hanno subito questi trattamenti e sono state coinvolte nelle extraordinary rendition. Se la notizia appare sui giornali allora essa è sotto l’occhio dell’opinione pubblica ed oggi come oggi la rendition è sottoposta ad una sorta di rallentamento. Non può fare quello che vorrebbe semplicemente perché ora è posta sotto osservazione.

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