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Festa del cinema di Roma 2007 - Pop skull - Extra

Pubblicato il 25 ottobre 2007 da Alessandro Izzi


Festa del cinema di Roma 2007 - Pop skull - Extra

Promette di diventare il film cult della seconda edizione della Festa del Cinema di Roma l’horror di Adam Wingard Pop skull. E lo fa non solo perché è costato in tutto l’irrisoria cifra (soprattutto per gli standard americani) di tremila dollari appoggiandosi su un meccanismo produttivo “home made” che sembra essere più amatoriale che non realmente professionale, ma anche per la sua carica sperimentale e per la sua volontà di scavare nel corpo dell’immagine restituendoci l’insostenibile, paradossale fisicità del digitale.
Col suo solo esistere Pop skull dimostra apertamente che si può realmente fare cinema al di fuori dei più tradizionali meccanismi produttivi e, cosa ancor più importante, che si può concretamente pensare ad una produzione horror che non sia la semplice e meccanica produzione in serie di remake per adolescenti popcornmasticanti cui l’America ci ha abituato da qualche anno a questa parte.
La storia è presto detta: Daniel, un giovane rampollo della media borghesia americana, è stato da poco lasciato dalla ragazza. In piena crisi esistenziale, del tutto incapace a superare il trauma dell’abbandono, il ragazzo non vede altra alternativa che quella di chiudersi in cassa riempiendosi di psicofarmaci. Inutile dire che l’abuso di sostanze allucinogene è tale da impedire al ragazzo ogni possibilità di distinguere la realtà dalla fantasia. In questo modo, lentamente, ma inesorabilmente i fantasmi del suo inconscio finiscono per prendere corpo in tre figure mostruose, tre spettri del passato che rivivono davanti ai suoi occhi allucinati, l’efferato delitto consumatosi proprio in quella casa.
A livello di sceneggiatura, l’intera impalcatura del racconto poggia sulla magnificazione del triangolo rivissuto in tutte le sue possibili variazioni strutturali. Un tema, questo, che sembra volersi riverberare, all’interno del racconto, secondo una logica innaturalmente psicotica e dissociata. Da questo punto di vista sono quattro i triangoli raccontati, in modo più o meno evidente, all’interno del film. Ognuno di questi triangoli è composto da una base maschile (due amici, due complici, due fratelli) ed un vertice femminile (l’oggetto del desiderio che, nella logica del genere è sia sessuale che delittuoso). Due triangoli si formano nel piano della così detta realtà oggettiva (con tutti i limiti che una definizione di questo tipo si porta dietro in un film che fa della confusione tra verità e fantasia il suo imprescindibile punto di partenza) mentre gli altri e due prendono corpo nel piano della visione, sono proiezioni ora mentali (gli spettri) ora fisiche (le immagini del film che Daniel guarda continuamente nel corso del racconto in cui un uomo uccide il proprio rivale sotto lo sguardo di una donna), ma sempre oniriche della psiche del protagonista. Rappresentano, insomma, il modo con cui il giovane si racconta a se stesso e cerca di interpretare, di rendere comprensibile ed accettabile la storia della fine della sua relazione con la ragazza.
Insomma ciò che veramente spaventa Daniel, e non ci vuole poi molto a rendersene conto, è Daniel stesso. È il fatto che la sua reazione alla situazione, inizialmente autodistruttiva, rischia concretamente di esplodere verso l’esterno di tradursi in un delitto non meno efferato e terribile di quello compiuto anni prima nella sua stessa casa (quando due uomini trucidarono a colpi di martello una povera donna) o di quello della resa dei conti violenta del film che scorre in televisione. Neanche la visione dall’esterno della storia d’amore tra Jeff (il suo miglior amico) e Morgan riesce a fornirgli un rifugio dalla sua situazione dal momento che egli non riesce a non vedere nella donna un riflesso speculare della sua ex fidanzata (la prima bionda e coi capelli corti, la seconda bruna e coi capelli lunghi) finendo per cedere alle sue seduzioni (in una scena memorabile per le sovrapposizioni di cui è composta) e per aggredirla in un indistricabile rincorrersi di libido e desiderio assassino.
Cercare di spiegare oltre la dimensione narrativa del film non rende giustizia, comunque, alla sua ricercata visionarietà che da un lato rende giusto omaggio al nume tutelare di David Lynch, dall’altro punta su una costruzione della suspence, coi classici effetti a sobbalzo, propri dell’horror più tradizionale (splendida la scena del lento aprirsi della porta del garage).
Resta, è vero, l’impressione che il regista avverta forse un po’ troppo il bisogno di ancorare la sua sperimentazione visiva su griglie narrative rassicuranti (le visioni sono comunque frutto del consumo di sostanze stupefacenti, il versante più apertamente spaventoso è parte costitutiva del genere di riferimento da cui il film si distacca solo brevemente e mai completamente). Come pure emerge l’impressione che il discorso sia spesso un po’ troppo concettuale e teorico e poco emotivo e “di pancia” Eppure Pop Skull resta un film coraggioso ed intrigante. Una meteora che non deve passare inosservata.


CAST & CREDITS

(Pop skull); Regia, fotografia e montaggio: Adam Wingard; sceneggiatura: E. L. Katz, Lane Hughes, Adam Wingard; musica: Justin Leigh, Kyle McKinnon; interpreti: Lane Hughes (Daniel), Brandon Carroll (Jeff), Maggie Henry (Natalie), Hannah Hughes (Morgan); produzione: Alan Turner, E. L. Katz, Lane Hughes, Adam Wingard; orgine: USA, 2007; durata: 86’; webinfo: Sito ufficiale


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