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Festa del cinema di Roma 2007 - Zero - Inchiesta sull’11 settembre - Extra

Pubblicato il 23 ottobre 2007 da Alessandro Izzi


Festa del cinema di Roma 2007 - Zero - Inchiesta sull'11 settembre - Extra

Zero - Inchiesta sull’11 settembre comincia esattamente come Fahrenheit 9/11: con lo schermo nero e la registrazione di una telefonata nella quale si sente la voce concitata di una donna, imprigionata in una delle due torri e in preda alla disperazione, che chiede cosa fare ad una centralinista che a stento mantiene una voce professionale e che cerca inutilmente di essere tranquillizzante.
Di fronte all’innegabile verità della nausea mediatica che il pubblico non riesce a non provare per le immagini degli attentati, nausea che deriva dall’eccesso di sovraesposizione televisiva di quelle stesse immagini (di fatto l’attacco è letteralmente avvenuto in diretta televisiva), la risposta tanto di Michael Moore che degli autori di questo pamphlet audiovisivo è negare allo spettatore la visione. Dopo che il pubblico ha già visto tutto degli attentati, l’unico modo che resta al cineasta per colpire il cuore, l’unico modo per far sì che l’orrore non venga mediato e mitigato dall’abitudine al già visto, è quello di fare appello al non visto, al fuori campo.
Quello che, però, per Michael Moore era un’intuizione geniale (che avverava, tra l’altro, uno dei momenti di maggiore potenza del suo peraltro discutibile documentario e che, per inciso, era già alla base dello splendido corto di Inarritu ospitato nel film collettivo 11 09 01) per Zero – Inchiesta sull’11 settembre, che arriva con almeno due (se non quattro, pensando al regista messicano) anni di ritardo rispetto al suo modello inconfessato, diventa una mera ripetizione. Quello che per Moore era la negazione del “visto” e un tentativo sincero volto ad attivare nello spettatore una sorta di occhio interiore, tutto dell’immaginazione, per la cricca di Giulietto Chiesa diventa niente più che un’ulteriore immagine. Anche questa, come tutte le altre del documentario, già vista anche se, magari, una sola volta.
Ed in fondo è proprio questo il problema più sostanziale di Zero – Inchiesta sull’11 settembre: che, da qualsiasi parte lo si guardi, sembra sempre essere in ritardo su tutto.
Non solo a livello visuale (cosa che sarebbe ancora scusabile), ma anche a livello concettuale (che non è poco per un documentario che non nasconde, anzi esalta la sua dimensione faziosa e propagandistica). E non solo perché è già uscito un libro dallo stesso titolo, ma perché la maggior parte delle teorie che porta avanti sul complotto americano che potrebbe essere alla base degli attentati terroristici sono già state mostrate in altri documentari analoghi e sono, per lo più, ormai di pubblico dominio.
Non basta, allora, come fanno qui gli autori del documentario, tentare di reinventare la “visione” dell’orrore degli attentati con immagini generate al computer perché queste possono certo “suonare” nuove per l’occhio, ma hanno anche quel tonfo un po’ sordo che in genere associamo (con la mente) alle monete false.
Certo l’idea di fondo è che tutto l’attentato in realtà non sia che una colossale mistificazione e certo ci si ripete che l’intera Al Queida in realtà è un’invenzione americana (il che è vero se non altro per il fatto che essa è sempre stata, fino a poco prima del 2001, foraggiata con soldi della CIA), ma questo non è un motivo sufficiente a giustificare concettualmente il ricorso al computer per ricostruire le tappe salienti del crollo delle torri.
Via di questo passo ci sono dei momenti in cui la credibilità delle tesi proposte rischia di collassare. Perché fa un certo effetto di sospensione dell’immedesimazione vedere Dario Fo inerpicarsi in complessi discorsi sull’aereodinamica e sui materiali di costruzione dei grattacieli come non avesse fatto altro tutta la vita. Come ci colpisce che Moni Ovadia diventi di colpo un colossale esperto delle beghe dei servizi segreti internazionali. Non sono qui le argomentazioni ad essere messe in discussione (anche se ci sono qua e là buchi teorici dei quali si dovrebbe chiedere conto), ma la scelta delle persone (qui dei personaggi) demandati a restituirle al pubblico che ci lasciano perplessi.
E’ come se gli autori del pamphlet volessero rispondere a quella complessa macchina di bugie e spettacoli che è stato l’attentato dell’11 settembre con un film profondamente imparentato alla categoria dello spettacolo prima ancora che del documento. Ma, nel far questo, non è del tutto consapevole dello snodo teorico che sta creando. Ogni documentario è sempre un po’ finzione (lo sa bene Herzog che sul confine tra l’uno e l’altra ha sempre giocato), ma quali sono gli strumenti più idonei per raccontare e “documentare” quella che potrebbe essere stata la più grande finzione della storia dopo il Cavallo di Troia?
Ecco ci pare sia proprio questa la domanda che gli autori di Zero –Inchiesta sull’11 settembre non si sono mai posti nel realizzare il loro film. Ed è questo il loro peccato mortale.


CAST & CREDITS

(Zero - Inchiesta sull’11 settembre); Regia: Franco Fracassi, Francesco Trento; sceneggiatura: Giulietto Chiesa, Franco Fracassi, Francesco Trento; fotografia: Chistian di Prinzio, Marco Ricchello; montaggio: Annalisa Schillaci; musica: Alessandro Molinari; interpreti: Dario Fo, Moni Ovadia; produzione: TPF Telemaco s. r. l.; durata: 110’


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