This is England
C’è stata una fase davvero buia a guardare indietro dentro la recente storia inglese e cresce il numero dei giovani cineasti inglesi che tornano o cominciano a riflettere sul loro passato oscurantista in quei torbidi anni ’80. Nulla di strano, lo facciamo contemporaneamente anche dalle nostre parti.
La differenza con altre riflessioni affidate al cinema in tempi non lontanissimi, come Grazie Signora Thatcher! tanto per citare un titolo, risiede nel fatto che stavolta l’ottica privilegiata da cui scagliare l’attacco frontale al sistema è quella della nascente frangia estremista degli skin-heads, piuttosto che quella dei contestatori di sinistra, guidati da Ken Loach. Gli anestetizzatori delle masse, allora, erano la musica pop dei Duran-Duran o le vicende private e sentimentali di Diana e la famiglia reale, come la brillante apertura in stile cinegiornale del tempo ricostruisce e sintetizza nei pochi minuti iniziali.
Non ci troviamo proiettati però nella ’già vista’ cosmopolita Londra, ma in una minuscola cittadina sul mare: la delineazione del contesto urbano rimane, beninteso, uno degli indubbi punti di forza del film.
Il terreno tuttavia è sdrucciolevole, come si vede bene, e il regista difatti non tarda a scivolare.
Peccato, perché il film parte efficacemente nel suo schizzo di personaggi e ambienti e, sul piano del ritmo, mantiene in pieno le premesse per tutta la sua durata. La colpa più grave di cui si macchia il regista e lo script del film consiste piuttosto nel cedere progressivamente a soluzioni facili e addirittura scorrette, che premiano le logiche dell’effetto e del sensazionalismo su qualsiasi altro ordine di considerazione. Ripetiamo: peccato, perché dentro a questo This is England (perché mai il titolo rimanga al presente, anche se si fa riferimento a vent’anni orsono è un quesito indubbiamente interessante) ci sono anche alcune sequenze di grande cinema.
Il piccolo Shaun, dodici anni appena, assomiglia pure al protagonista del Kes del già citato Loach, esordio di promettentissime speranze. Solo che qui, il ragazzino respinto da tutti stringe amicizie ben più pericolose, con un manipolo di giovani alienati e problematici, proprio come lui. Ragazzi che a loro volta lo introducono nel gruppo del violento e razzista Combo, una figura terrorizzante quasi un selvaggio capobranco. Una delle scene madri del film riguarda sicuramente la prima apparizione di quest’ultimo al party dei ragazzi.
L’unione fa la forza, si sa, specie in contesti in cui si respira un’atmosfera da ‘tutti contro tutti’ e questo fin dalla più tenera infanzia, in cui è così facile cedere al fascino di un leader carismatico, specialmente se si è alla ricerca di una figura paterna sostitutiva. Ed ecco allora entrare in scena la logica delle bande e quella delle etichette. Punk (un’“invenzione” tutta inglese) o skin-head, il punto, sembra suggerire il regista, rimane lo stesso, vale a dire il collante del gruppo, che solo sembra garantire la sopravvivenza in un contesto da lotta armata. E questo suo filmare con freddezza, come in un’esecuzione priva di partecipazione perfino le malefatte più atroci dei ragazzetti (e sì che alcuni non sono nemmeno più giovanissimi o sono degli insospettabili in giacca e cravatta), provoca indubitabilmente un senso di disagio crescente nello spettatore.
Eppure, tutto pare troppo “facile”. Facile e scorretto, ma con un sicuro tornaconto sul piano delle emozioni suscitate. Una visione, questa, che non lascia di certo indifferenti.
Se ciò sia sufficiente a decretare il valore assoluto del film, lo valuterà lo spettatore nel singolo caso.
(This is England) Regia: Shane Meadows; sceneggiatura: Shane Meadows; fotografia: Daniel Cohen; montaggio: Chris Wyatt; scenografia: Mark Leese; costumi: Jo Thompson; interpreti: Thomas Turgoose (Shaun), Stephen Graham (Combo), Jo Hartley (Cynth), Andrew Shim (Milky), Vicky McClure (Lol), Joe Gilgun (Woody); produzione: Warp Films Production; origine: Gran Bretagna, 2006 durata: 100’